Defr 2018-2020, pesano i diktat dello Stato

PALERMO – Rivedere gli accordi stipulati tra Stato e Regione è uno degli obiettivi principali previsti nel Defr (Documento di Economia e Finanza regionale) 2018/2020 approvato dalla Giunta Regionale lo scorso 13 febbraio. Nel documento viene delineata una situazione economica allarmante, con un Pil pro capite (17.100 euro) inferiore a Grecia ed Ungheria.
 
Inoltre, viene sottolineato che tra il 2007 e il 2016 la Sicilia ha perso il 12% del Pil ed evidenziato come siano stati conclusi accordi finanziari che “depotenziano le previsioni dello Statuto ed il contributo al riequilibrio della finanza pubblica si è raddoppiato in cinque anni”. Al di là di quelle che sono le intenzioni del Governo regionale, e cioè di risanare la Sicilia e di rivedere gli accordi con lo Stato, è utile esaminare il quadro della finanza predisposto nel documento per comprendere meglio in quale situazione si trova la Sicilia: la mancata applicazione degli artt. 36 e 37 dello Statuto regionale (sulla autonomia tributaria e patrimoniale), e le norme di riferimento (D.P.R. 1074 del 1965, la cui riscrittura, è stata prevista al comma 4 dell’art.12 della legge 825/71 e riproposta dall’art. 27 della legge delega 5 maggio 2009, n.42) mai realizzate, hanno fatto sì che dal 2005 al 2015 la Sicilia abbia “accumulato” una differenza tra il riscosso e il maturato di ben 30 miliardi di euro. La differenza tra le definizioni “riscosso” e “maturato” è data dalle tasse effettivamente riscosse in Sicilia, nel caso dell’Irpef, e quelle relative a fattispecie tributarie che, sebbene maturate nell’ambito regionale, affluiscono, per esigenze amministrative, ad uffici finanziari situati fuori dal territorio della regione. Il maturato, appunto. “La spinosa questione ha comportato negli anni un confronto Stato – Regione dagli esiti alterni – è scritto nel documento – che ha prodotto la sottoscrizione di tre Accordi, da parte del Governo in carica nella precedente legislatura, nel triennio 2014-2017, per determinare nel loro complesso punti controversi o indefiniti delle relazioni finanziarie intercorrenti”.
 
Questi accordi sono stati criticati fin dal momento della loro firma, e molti partiti politici, compresa una parte del Pd, non hanno visto di buon occhio le decisioni prese dall’allora presidente della Regione, Rosario Crocetta. Ma la Sicilia, oltre a non avere percepito quanto stabilito dagli articoli dello Statuto, si è trovata e si trova ancora oggi a dovere soldi allo Stato. C’è infatti il prelievo straordinario, che a partire dal 2012, è dovuto da tutte le regioni allo Stato e che ha preso il nome di “concorso alla finanza pubblica”. Nel 2018 la Sicilia dovrà corrispondere a Roma 1.304.944.947 euro, nel 2019 dovrà pagare 1.000.882.217 e nel 2020 la cifra sarà di 1.000.882.217 euro.

Con gli Accordi del 20 giugno 2016 e del 12 luglio 2017, la Regione ha sottoscritto, unitamente ad una serie di clausole che prevedevano obblighi in capo alla stessa per arrivare al risanamento del bilancio, una intesa di procedere alla modifica del criterio di riparto del gettito dell’Irpef e dell’Iva, ancorandolo al “maturato” in “luogo” di quello del riscosso e, quindi, alla capacità fiscale del territorio, accettando però di ridurre la spettanza regionale sui due tributi in una percentuale di compartecipazione (anziché l’intero gettito come previsto dall’art. 36 dello Statuto). Insomma, un ginepraio che il nuovo governo e in particolare l’assessore regionale all’Economia, Gaetano Armao, dovranno dipanare per giungere al pieno rispetto da un lato dello Statuto da sempre disatteso e dall’altro al risanamento di una regione depressa in una situazione che viene definita nello stesso Defr “allarmante”.