Nello Musumeci: Sicilia da ricostruire

Sabato 10 marzo abbiamo pubblicato la radiografia della Regione, così come l’ex presidente Rosario Crocetta gliel’ha consegnata. Qual è la sua opinione a riguardo?
“Vi ringrazio innanzitutto per questa fotografia, che utilizzerò fra un anno per fare un affronto con i risultati che avremo raggiunto. Fare proclami lascia il tempo che trova. Io parlo e parlerò solo per annunciare le cose fatte”.
 
A tal proposito, lei ha dichiarato che, alla fine del mandato, non riproporrà la sua candidatura alla Presidenza della Regione. Questa sua dichiarazione è una forza che va usata sui media, soprattutto quando le fanno ostruzionismo in Assemblea, visto che non ha una maggioranza assoluta. Non trova?
“Esatto. Il concetto è il seguente: chi ci vuole stare ci sta. Per questo voglio abolire il voto segreto, che diventa una copertura per gli impallinatori”.
 
 
Andrebbe modificata anche la legge elettorale, che non consente a un presidente di avere la maggioranza.
“Certamente. La legge elettorale è la prima cosa che va cambiata. Che senso ha eleggere in modo diretto un presidente se poi non lo si mette nelle condizioni di governare? Se non c’è stabilità è chiaro che si vive nell’inquietudine quotidiana e non si può programmare”.
 
Abbiamo analizzato le 90 pagine del Documento di economia e finanza, ma ci sembra che manchino due elementi importanti: il crono-programma e i controlli…
“Ho ricevuto molti apprezzamenti sul Def, perché mi dicono essere uno dei più completi. Il crono-programma c’è: abbiamo indicato le priorità, ma non le abbiamo legate a delle tempistiche precise perché in alcuni casi è difficile prevedere cosa possa succedere mese dopo mese ed è necessario darsi obiettivi annuali. Il nostro è un programma strutturato in cinque anni”.
 
E per quanto riguarda il controllo, fase essenziale per capire se il risultato corrisponde all’obiettivo?
“A proposito di controllo, quando ero alla guida della Provincia di Catania avevo sperimentato un metodo: riunire periodicamente la Giunta, in un luogo di villeggiatura, e restare chiusi in ritiro per due-tre giorni, al fine di affrontare in un contesto del tutto diverso da quello abituale i temi prioritari dell’agenda di Governo. Un confronto senza dirigenti e senza segretario generale. Stessa esperienza voglio riproporre alla Regione: tra pochi giorni incontrerò tutti gli assessori in un agriturismo delle Madonie e ci confronteremo su tutti i temi che riteniamo suscettibili di approfondimento. Il criterio che vogliamo adottare è questo: una verifica trimestrale per ogni singolo assessorato”.
 
 
Cosa ci dice, invece, del confronto con i burocrati della Regione?
“Abbiamo nominato sedici nuovi direttori generali su trenta: non era mai accaduto nella storia della Regione siciliana. Dei quattordici confermati, ne abbiamo fatti ruotare dieci, mentre i restanti quattro sono rimasti al loro posto perché stanno per andare in pensione. Il contratto lo abbiamo limitato al biennio, in modo che nessuno possa sentirsi al riparo da ogni valutazione, obiettiva ma implacabile. L’obiettivo finale è ridurre gli sprechi e accelerare la spesa pubblica. Paradossalmente, non possiamo disporre di almeno 5 miliardi di euro, tra Fondi comunitari tradizionali, Fondo sociale di Sviluppo e coesione e Patto per il Sud perché mancano progetti degni di questo nome. Questo è il primo grande ostacolo di fronte al quale ci troviamo: è un paradosso perché con questa gran mole di risorse potremmo ridare ossigeno al tessuto imprenditoriale dell’Isola”.
 
La Regione possiede le risorse finanziarie per cofinanziare questi 5 miliardi?
“Non tutti sono da co-finanziare, solo un miliardo lo è e lo stiamo già predisponendo nel bilancio. Ci sono fondi che possono essere spesi al 100% e stiamo creando un team di tecnici che si occupi proprio di stilare i progetti”.
 
Si tratta di progetti regionali, dei Comuni o tutti e due?
“L’uno e l’altro. I Comuni però non hanno più uffici tecnici, e anche le Province, che una volta avevano i migliori uffici tecnici dell’Isola, non hanno più ingegneri e quindi bisogna ricorrere all’esterno. Abbiamo istituito due fondi di rotazione in questi primi cento giorni, quello per le opere di dissesto idrogeologico, ricordo che in Sicilia abbiamo bisogno di almeno 800 interventi per potere mettere in sicurezza il territorio, per circa 1,8 miliardi di euro, e quello per le opere della viabilità provinciale. Con l’Anas stiamo andando a muso duro, perché deve convincersi di mantenere gli stessi impegni che assume nelle altre Regioni della Penisola. Non possiamo non tener conto della qualità della viabilità statale, perché gli assi dai quali si snoda la viabilità provinciale sono quelli statali. Stiamo prevedendo la costituzione di un catasto delle strade siciliane, di cui si sta occupando la Protezione civile: per ogni arteria faremo una ‘cartella clinica’, al fine di individuarne lo stato di salute: ci vorranno 2 milioni di euro e un anno di tempo, ma nel frattempo stiamo procedendo con i progetti che abbiamo. Quindi non soltanto miglioriamo la viabilità ma interveniamo dove potrebbe verificarsi una frana. Questo riguarda soprattutto i territori della provincia di Messina, Enna e Caltanissetta, che sono le zone a maggiore rischio frane”.
 
Gli investimenti, quindi, sono la priorità?
“La sfida consiste nel sapere accelerare la spesa pubblica, privilegiando al tempo stesso la qualità degli interventi. Per noi sono fondamentali due obiettivi in materia di mega-investimenti: da un lato la riqualificazione della viabilità in Sicilia, perché se un territorio non è accessibile, quella zona non sarà mai interessata a processi di sviluppo; dall’altro la riqualificazione dei centro storici minori. Dobbiamo arrestare lo spopolamento che interessa più della metà dei Comuni siciliani. Destinare tra i duecento e i trecento milioni di euro ai Comuni inferiori ai 15 mila abitanti che presentino un pregio monumentale, artistico e architettonico significa preservare le aree interne: questo è l’obiettivo. Oggi assistiamo impotenti a una desertificazione dei centri storici. Dando incentivi ai proprietari di case nei centri storici e dicendo loro ‘se ti rifai il prospetto e utilizzi il colore che noi ti suggeriamo hai diritto a una serie di agevolazioni’, possiamo alimentare un’attività edilizia e, al contempo, riqualificare e consolidare dal punto di vista sismico i centro storici minori.”
 

 
La Sicilia dev’essere appetibile per potenziali investitori
 
Nel 2013 venne realizzato dall’assessorato regionale ai Beni culturali, nell’ambito del Piano paesaggistico della Regione, un censimento dei borghi e dei piccoli centri: alcuni di essi coincidono con delle frazioni, ma nel Piano ne risultano etichettati 829. Un numero troppo elevato, non trova?
“Credo sia un numero eccessivo. Oggi c’è un concetto diverso di borgo: una frazione non è un borgo, il borgo deve rappresentare caratteristiche di impianto urbanistico e di estetica diverse da quelle che può rappresentare una frazione. A proposito di borghi, ho appreso con sorpresa che un mio emendamento votato all’unanimità dall’Assemblea e inserito nella Finanziaria 2014, quello sui borghi rurali, non ha avuto seguito. Con questo emendamento avevo previsto la messa sul mercato di alcune zone rurali realizzate nel 1940 con dei vincoli precisi, per evitarne la speculazione, vale a dire impossibilità di alterarne la cubatura e destinazione vincolata come attività turistica o agricola. Dal 2014 a oggi, quella norma non è stata messa in atto. Noi vogliamo riproporla, perché è un peccato che i nostro borghi cadano a pezzi: basti pensare a Borgo Lupo in provincia di Catania, a Borgo Cascino in provincia di Enna, a Borgo Gattuso in provincia di Caltanissetta, tanto per fare alcuni nomi”.
 
Non sarebbe necessario potenziare anche l’asse relativo alla promozione turistica?
“Si può valorizzare un bene soltanto se prima lo si tutela. Il primo passo è quindi quello di metterlo al sicuro, vendendolo a un privato, il quale lo riqualifica. La promozione spetterà in parte al privato e, se degna di attenzione, in parte al pubblico, che la inserisce nel circuito dei borghi rurali. L’iniziativa comunale di vendere le case al prezzo simbolico di un euro, per esempio, sta andando bene, penso a Cianciana per esempio, e mi pare sia cresciuto l’interesse da parte degli investitori stranieri. Noi abbiamo bisogno di attrarre capitale e per farlo dobbiamo apparire appetibili. Per essere appetibili dobbiamo snellire le procedure burocratiche e autorizzative, dobbiamo abbattere alcune storiche diseconomie fra cui l’accessibilità ai luoghi, quindi l’infrastrutturazione, ma anche il peso del Fisco, la sicurezza nelle campagne. È di alcuni giorni fa un mio incontro con il comandante della Legione Carabinieri Sicilia, Riccardo Galletta, con il quale abbiamo una serie di servizi di pattugliamento nelle campagne, nelle aree rurali, fra Carabinieri e guardie del Corpo forestale, perché la gente va in campagna e ci rimane la notte soltanto se si sente sicura. C’è un diffuso senso di paura e le Istituzioni hanno il dovere di stare accanto a chi ha paura”.
 

 
Istituito un gruppo di lavoro per il Piano dei rifiuti
 
Questione rifiuti: in Italia ci sono 41 energimpianti. Al Sud ce ne sono uno a Roma, uno a Napoli, un altro ad Acerra e uno in Sardegna. Nel resto del Meridione, Sicilia compresa, non ne esistono. Questi impianti, presenti ormai in tutto il mondo, non fanno fumo, non fanno rumore, non inquinano, ma producono energia, biogas, biocherosene. Di fronte al fatto che in mezzo Paese il problema dei rifiuti è stato risolto attraverso questi impianti, perché non affrontare anche in Sicilia questo problema con la loro costruzione? Tra l’altro, si possono realizzare in project financing, quindi a costo zero per la Pubblica amministrazione. Anche la questione della differenziata diventa irrilevante, perché all’interno di queste stesse strutture si ha la possibilità di selezionare i diversi tipi di rifiuti attraverso specifiche apparecchiature. In Sicilia abbiamo undici aree industriali che sono disastrate e i cui terreni potrebbero essere messi a disposizione e si potrebbe affidare a ogni provincia il suo energimpianto. Qual è la posizione del Governo su questa materia?
“Il mio Governo ha detto con chiarezza di non avere alcun pregiudizio nei confronti degli impianti che producono energia attraverso l’utilizzo dei rifiuti. Non siamo noi a dover decidere se e dove possono essere realizzati gli energimpianti: il compito della Regione è quello di dotare l’Isola di un Piano regionale dei rifiuti che consenta di definire il ciclo completo degli stessi. Per noi il ciclo dei rifiuti si apre e si chiude all’interno di ogni singola provincia: un autocompattatore non deve mai uscire dalla provincia di Enna per andare a Catania e viceversa. Il Piano dei rifiuti, purtroppo, manca in Sicilia: ne abbiamo uno emergenziale, tanto insufficiente da indurre Bruxelles a revocare il contributo di circa 180 milioni di euro previsti a favore della Regione. Abbiamo proceduto già a deliberare l’istituzione di un gruppo di lavoro per redigere questo importantissimo documento”.
 
Con quale obiettivo da conseguire?
“All’interno di tale Piano prevediamo il ciclo completo: la raccolta differenziata, l’impianto di pre-trattamento, l’impianto di compostaggio, l’impianto di post-trattamento e l’impianto che poi deve eliminare la parte residuale che è il 20 per cento dei rifiuti conferiti. Se questo 20% i Comuni intendono eliminarlo attraverso un energimpianto, sono liberissimi di farlo; se questo 20% residuale i Comuni intendono eliminarlo conferendolo alla discarica sono liberissimi di farlo. Sono i Comuni, comunque, a decidere, in concorso se vogliono con gli Enti intermedi, cosa fare della parte residuale. Il problema è che noi non riusciamo in questo momento neanche a eliminare il 50 per cento della parte iniziale perché il vetro, la plastica, la carta, il legno, il metallo, che potrebbero essere benissimo conferiti ai rispettivi consorzi, di fatto non vengono utilizzati come si dovrebbe perché vanno direttamente in discarica”.
 
 

 
Le Province hanno un ruolo essenziale per il territorio
 
Il nodo in cui tutto converge è la burocrazia. Quali sono i passi che intendete fare per cercare di razionalizzarla?
“La burocrazia non va demonizzata ma va sicuramente razionalizzata: semplificare le procedure sarà uno dei temi principali di cui discuteremo nel corso del ‘ritiro’ con gli assessori. Esiste già una norma che prevede la semplificazione delle procedure, ma bisogna capire perché non sia stata applicata. Seconda cosa: almeno 200 leggi della Regione siciliana andrebbero abrogate perché serve una semplificazione delle norme. In Sicilia, paradossalmente, non abbiamo bisogno di nuove leggi, ma abbiamo bisogno di capire perché quelle varate non sono state applicate.
 
C’è poi quel coacervo enorme di decreti assessoriali e di circolari interne che, a volte, sono in contrasto con le leggi da cui esse derivano. Come eliminare queste incongruenze?
“Di questo deve occuparsi la Funzione pubblica, dove abbiamo sostituito i direttori precedenti, e abbiamo riversato grande impegno su questa attività. Stiamo inoltre lavorando alla riforma delle Province, la cui funzione questo Governo ritiene essenziale per una buona amministrazione del territorio, seguendo un doppio versante: da un lato l’elezione diretta del presidente della Provincia, e in tal senso siamo in attesa di capire che cosa dirà la Corte costituzionale, che potrebbe pronunciarsi ai primi di luglio a seguito del ricorso presentato dal mio Governo; dall’altro lato, quello relativo alle competenze. Stiamo trasferendo alle Province alcuni compiti oggi in capo alla Regione o ad altri Enti. La Provincia, per esempio, deve occuparsi di rifiuti e di servizi idrici”.
 
Elezione di un presidente e di un Assemblea provinciale come prima, in sostanza?
“Pensiamo a un Consiglio provinciale più snello, senza oneri a carico del bilancio provinciale, cioè soltanto con il rimborso per la benzina, e a una Giunta che sia ridotta rispetto al passato. Questo vale anche per le Città Metropolitane: riteniamo che chi è sindaco di una città capoluogo non possa essere presidente di una Città Metropolitana. A prescindere dal modo in cui verrà eletto il presidente della Provincia, riteniamo che a essa debbano andare competenze specifiche. Tra queste, per esempio, pensiamo di inserire quella derivante dallo scioglimento dei dieci Istituti autonomi case popolari. Il nostro obiettivo è costituire un’Agenzia regionale per la casa con sezioni provinciali capaci di dare risposte alle 60 mila famiglie che in Sicilia chiedono da anni di avere assegnato un alloggio popolare e finora non lo hanno ottenuto. Quest’Agenzia pensiamo di proporla con la Legge di Stabilità o subito dopo. Va poi abolita l’Irsap, che ha preso il posto dei Consorzi dell’Area di sviluppo industriale e che, dopo sei anni, si è rivelato inutile e dannoso. Le zone industriali vanno affidate agli industriali, con una guida pubblica, ma il management deve essere in mano agli imprenditori, così come i Consorzi di bonifica devono tornare alla funzione originaria: erano Consorzi fra agricoltori, ma oggi sono tutti burocrati, ben pagati peraltro. Il risultato è che l’acqua non arriva nelle campagne, ma arrivano puntualmente le bollette per i canoni e quindi gli agricoltori si sentono vessati”.
 
E per Irfis, Ircac e Crias cosa intende fare?
“L’idea è di accorparli, una volta superato l’inghippo legato al fatto che l’Irfis è una società, mentre gli altri sono enti pubblici. Pensiamo intanto alla fusione di Crias e Ircac. Una volta superata la stagione del bilancio, che si chiuderà inevitabilmente il 30 aprile, pensiamo di aprire la stagione delle riforme, che durerà ragionevolmente un anno, un anno e mezzo. Abbiamo messo nel conto, come crono-programma, che i primi due-tre anni serviranno per mettere la ‘Ferrari Regione’, che abbiamo trovato chiusa in un garage, senza ruote e con il motore a pezzi, di nuovo in pista. Nel frattempo abbiamo cominciato a spendere: abbiamo già rimesso in circolazione 700 milioni di euro con i bandi e con le gare d’appalto in cento giorni. La Ferrari non possiamo metterla su pista se prima non la mettiamo nelle condizioni di correre: abbiamo scoperto che la Regione paga in tutta la Sicilia circa 40 milioni di euro l’anno per fitti passivi. Vogliamo vedere se il dato è confermato. Buona parte degli immobili sono in affitto nella città capoluogo: bene, stiamo accarezzando l’idea di creare un Centro direzionale. Il progetto prevede tre torri che ci consentirebbero di mettere insieme gli uffici di tutti i dodici assessorati. La zona è quella di via Ugo La Malfa, facilmente accessibile da chi proviene dalla zona Est e da quella Sud di Palermo. Dovremmo abbattere un edificio della Regione già esistente e crearne tre costituiti ciascuno da dodici piani, per un totale di 36. Il finanziamento arriverebbe dalla Cassa depositi e prestiti, che si è già informalmente dichiarata interessata al progetto, e l’opera verrebbe realizzata in cinque anni. In trent’anni avremmo la possibilità di avere già definito ogni debito con la Cassa depositi e prestiti e di ritrovarci un immobile che razionalizza i servizi, perché una pratica passerebbe da un piano all’altro e, soprattutto, i cittadini, per parlare con gli uffici della Regione, non avrebbero più bisogno di recarsi da una parte all’altra di Palermo”.
 
State lavorando a un programma di riordino della Pubblica amministrazione? Perché c’è un contratto di lavoro tra la Regione e i propri dirigenti e dipendenti, ma non è omogeneo a quello delle altre Regioni a Statuto speciale? Tutti i dirigenti e i dipendenti siciliani percepiscono all’incirca il 30% in più rispetto ai colleghi del resto d’Italia…
“Bisogna tenere conto che noi siamo vincolati da contratti che costituiscono una gabbia, un vincolo. Possiamo invece intervenire sulla produttività: lì dobbiamo esercitare il massimo dei controlli. È giusto che ogni dipendente abbia la remunerazione che merita e si deve tener conto che il contratto non viene rinnovato da un decennio”.
 
Sul piatto però c’è un aumento di 85 euro…
Bisogna considerare che in questi anni il costo della vita è aumentato. Noi riteniamo che sia necessario avviare, e l’assessore alla Funzione pubblica lo sta già facendo, un confronto con le organizzazioni sindacali. A me non dispiace che il dipendente possa avere un miglioramento economico, mi pare persino legittimo. Il problema è capire se quel miglioramento economico viene utilizzato per compensare una prestazione che alla fine si traduce in un miglioramento economico per tutta la società, perché se la Regione è il motore della crescita economica e sociale di una comunità, se lavora bene il burocrate, il risultato positivo ricade sul territorio”.
 
Se però l’aumento è generalizzato, come si fa a distinguere tra i bravi e gli incapaci?
“Vanno premiati i meriti: questo è fuori discussione ed è una regola che abbiamo posto alle organizzazioni sindacali. Lo stesso vale per quanto riguarda la digitalizzazione e l’informatizzazione: vogliamo mettere i dipendenti nelle condizioni di potere utilizzare gli strumenti che la tecnologia consente e offre, per migliorare la qualità del lavoro e la trasparenza. Purtroppo in tema di informatizzazione, alla Regione siamo ancora quasi all’anno zero”.