Mafia: blitz Carabinieri, 19 ordinanze cautelari per clan Laudani

Carabinieri del comando provinciale di Catania stanno eseguendo un’ordinanza cautelare nei confronti di 19 presunti capi ed affiliati del gruppo di Paternò del clan mafioso Laudani.
 
I reati ipotizzati, a vario titolo, sono associazione mafiosa, traffico e spaccio di droga, rapina, porto e detenzione di armi.
 
Le indagini del Nucleo investigativo del Reparto operativo, coordinate dalla Dda della Procura, hanno consentito di ricostruire l’organigramma del clan caratterizzato da una autonomia criminale anche nei confronti di Cosa Nostra catanese, con la quale non ha disdegnato di stringere alleanze partecipando alle più sanguinose faide degli anni Ottanta e Novanta, con saldi legami anche con la ‘ndrangheta Reggina.
 
 
E’ emerso anche che il responsabile del gruppo continuava a reggere dal carcere le fila del gruppo impartendo ordini e direttive tramite la moglie, il suocero e il nipote di un fedelissimo detenuto con lui.
 
 
 
Nel corso della conferenza stampa è stato confermato che il boss Salvatore Rapisarda, a capo del gruppo della clan Laudani di Paternò, dava ordini dal carcere.
 
Lo faceva, si legge in una nota della Procura di Catania, grazie al suo luogotenente Alessandro Giuseppe Farina che che avvaleva della collaborazione di sua moglie, Vanessa Mazzaglia, di suo suocero, Antonino Mazzaglia, e di suo nipote Emanuele Farina.
 
Emerge dalle indagini dei carabinieri di Catania che hanno portato all’emissione di un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 19 indagati. Il provvedimento è stato emesso dal Gip su richiesta della Dda della Procura etnea.
 
L’inchiesta, che rappresenta il proseguo dell’operazione ‘En Plein’ del maggio del 2015, e che prende il nome di ‘En Plein 2’, ha permesso di continuare a controllare il clan e a confermare il ruolo di vertice del Rapisarda, nonostante la detenzione, che, sostiene l’accusa, aveva conferito l’incarico di responsabile ad interim per il territorio di Paternò al nipote Vincenzo Marano.
 
Quest’ultimo  gestiva le "piazze di spaccio" e la cassa comune della cosca assicurando il mantenimento degli associati detenuti.
 
Le indagini hanno consentito anche di identificare anche le "nuove leve" del gruppo mafioso.
 
Attraverso i colloqui con i familiari, i detenuti venivano, a loro volta, informati dei problemi associativi da risolvere, primo fra tutti quello degli stipendi agli associati, e intervenivano dando specifiche disposizioni da far pervenire all’esterno del carcere.
 
Uno degli strumenti di finanziamento dell’associazione mafiosa era il traffico di cocaina e marijuana, nelle "piazze di spaccio" di Paternò e di Santa Maria di Licodia.
 
Le dichiarazioni di collaboratori di giustizia, anche recenti, riscontrate da attività di indagine tecnica e tradizionale, hanno permesso di ricostruire le attività criminali e l’organigramma dei gruppi Morabito e Rapisarda, operativi nei Comuni di Paternò, Santa Maria di Licodia e Belpasso.