Le pensioni d’oro sono quelle degli ex regionali

PALERMO – Dopo il via libera della Camera al taglio dei vitalizi, al vaglio del governo nazionale c’è adesso l’abolizione di un altro insopportabile privilegio: quello delle cosiddette “pensioni d’oro”.
 
Obiettivo dell’ennesima riforma previdenziale che il vicepremier e ministro del Lavoro Luigi Di Maio spera di portare a casa entro l’estate: tagliare le pensioni d’oro (ai ricchi) per aumentare quelle minime (ai poveri).
 
 
Nel mirino del ministro pentastellato rientrano gli assegni previdenziali sopra i 4 mila euro che saranno tagliati per coloro che non hanno versato contributi a sufficienza. Vale a dire per una platea che, stando alle intenzioni del ministro Di Maio, vedrebbe ricalcolato il proprio assegno tenendo conto non più degli ultimi contributi versati, bensì dell’intero percorso lavorativo, con un taglio stimato che si aggira tra il 15 e il 20 per cento di quanto incamerato dai titolari di tale privilegio. Una mossa che genererebbe un risparmio stimabile, secondo il dicastero del Lavoro, in un miliardo di euro.
 
Infuocata la polemica che si è scatenata poiché sono forti i dubbi sulla legittimità ma soprattutto sulla fattibilità di questa operazione perequativa.
 
Lapidario risuona poi anche il parere della Corte dei Conti: “è essenziale – si legge nel Rapporto 2018 sul coordinamento della finanza pubblica – preservare i miglioramenti di fondo che il sistema previdenziale ha realizzato in questi decenni. Ogni elemento di possibile flessibilizzazione dell’attuale assetto dovrebbe contemplare compensazioni in grado di salvaguardare la sostenibilità finanziaria di lungo periodo, è cruciale non creare debito pensionistico aggiuntivo”.
 
A ben guardare, però, le vere pensioni d’oro non sono tanto quelle messe sotto torchio dal governo gialloverde nelle ultime settimane: sono piuttosto quelle percepite dagli ex dipendenti della Regione siciliana, per le quali mamma Regione (che ha l’onere di farsi carico della previdenza dei suoi ex lavoratori) ha sborsato nel 2017 oltre 657 milioni di euro, recuperando la stragrande maggioranza di tali somme direttamente dal bilancio regionale.
 
A fronte di un assegno previdenziale nazionale che si attesta in media a 26.636 euro annui per il comparto pubblico e di 15.184 euro per quello privato, infatti, quello dei “cari” ex impiegati regionali dell’Isola arriva a superare la vetta dei 37 mila euro. Una cifra record che pesa come un macigno su un sistema che, cifre alla mano, è anch’esso tutto fuorchè sostenibile, soprattutto in una regione come la Sicilia che ha un quadro socio-economico a dir poco disastroso.
 
La crescita della spesa pensionistica regionale è enorme ed è, soprattutto, in continua “lievitazione”: +50,4 milioni di euro dal 2015 al 2016 e, stando ai dati relativi al 2017 comunicati dal Fondo alla Corte dei Conti e forniti in esclusiva al QdS dall’ex direttore del Fondo Rosolino Greco, +25 milioni dal 2016 al 2017. Con numeri di tale portata è difficile far quadrare i conti: prima o poi i nodi arriveranno al pettine e a pagare, come sempre, saranno i siciliani.