Crollo Genova: avvii di revoca, inchieste e penali

"Il Governo contesta al concessionario che aveva l’obbligo di curare la manutenzione ordinaria e straordinaria dell’autostrada A10, la grave sciagura che è conseguita al crollo del ponte".
 
Con questo annuncio sarebbe stato avviato ufficialmente l’iter di revoca per la concessione ad Autostrade per l’Italia della gestione della rete.
 
In una nota di ieri di Palazzo Chigi si leggeva "che il disastro è un fatto oggettivo e inoppugnabile e che l’onere di prevenirlo era in capo al concessionario su cui gravavano gli obblighi di manutenzione e di custodia".
 
 
"Mi scuso profondamente" aveva detto l’ad di Autostrade per l’Italia Castellucci, affermando che il ponte sarebbe stato ricostruito in acciaio ripristinando la viabilità in otto mesi e che sarebbe stato costituito un fondo di mezzo miliardo per indennizzare chi è stato costretto a lasciare la propria casa.
 
Da parte loro, Conte e Toninelli hanno annunciato la creazione di una Commissione ispettiva del Ministero dei trasporti che si occuperà di tutti gli accertamenti tecnici sul crollo del viadotto.
 
I risultati, promessi entro un mese, serviranno a Toninelli per "valutare le inadempienze di Autostrade per l’Italia" alla quale il ministero ha chiesto, entro due settimane, "una dettagliata relazione nella quale sia fornita chiara evidenza di tutti gli adempimenti posti in essere per assicurare la funzionalità dell’infrastruttura e prevenire lo specifico evento accaduto".
 
A partire da domani, inoltre, saranno convocate le competenti Commissioni parlamentari di Senato e Camera per l’informativa urgente del Ministro.
 
OMESSO CONTROLLO
 
Ma sull’impostazione "giustizialista" del Governo pentaleghista pesano come un macigno le parole del procuratore della Repubblica di Genova, Francesco Cozzi: "ho qualche difficoltà ad accettare l’idea che il tema della sicurezza pubblica stradale sia rimesso nelle mani dei privati. La filosofia del nostro sistema vede oggi uno Stato espropriato dei suoi poteri, una sorta di proprietario assenteista che ha abdicato al ruolo di garante della sicurezza, come se avesse detto al privato, ‘veditela tu’"
 
Questo rimette in primo piano la questione dell’omesso controllo da parte dello Stato e di conseguenza del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti retto dal grillino Toninelli. E apre tutta una serie di questioni che potrebbero trasformare la presa di posizione del Governo pentaleghista in un terribile boomerang per lo Stato italiano. Ecco perché è il caso di approfondire alcune questioni relative alla concessione.
 
L’ALLUNGAMENTO DELLA CONCESSIONE
 
Dopo la convenzione con Anas stipulata undici anni fa, la metà dei seimila chilometri di tratti autostradali italiani è gestita da Autostrade per l’Italia. Compresa la A10 Genova-Savona, che comprende il ponte Morandi. La concessione, che scadeva nel 2038, nel 2017 è stata prorogata al 2042 dopo un confronto col commissario Ue Vestager e un lungo iter che ha condotto al via libera della Commissione Europea.
 
I GRILLINI CONTRO LA GRONDA
 
In cambio dell’allungamento della concessione Autostrade per l’Italia avrebbe realizzato la Gronda, fondamentale opera pubblica, che avrebbe decongestionato anche il ponte Morandi soprattutto dal traffico pesante.
Il Movimento Cinque Stelle di Di Maio e Toninelli, già dal 2012 definiva, come ha ricordato su Facebook Matteo Renzi, "favoletta l’ipotesi del crollo del ponte e nel 2014 con il genovese Beppe Grillo voleva bloccare la Gronda ‘anche usando l’Esercito", senza contare che i pentastellati "nel 2018 con Toninelli hanno proposto ancora di cancellare l’opera".
 
COSA PREVEDE LA CONCESSIONE
 
La concessione stipulata fra Stato e Autostrade per l’Italia prevede, tra i vari obblighi del concessionario come la manutenzione ordinaria, "la gestione tecnica delle infrastrutture concesse", il "mantenimento della funzionalità delle infrastrutture concesse attraverso la manutenzione e la riparazione tempestiva delle stesse", e la presentazione "al Concedente, per l’approvazione" dei "progetti di manutenzione straordinaria".
 
COSA DICE IL CONTRATTO IN CASO DI REVOCA
 
Stando al contratto, la concessione può essere interrotta nel caso in cui "perduri la grave inadempienza" da parte del concessionario rispetto agli obblighi previsti.
Tuttavia, viene precisato nel documento, Anas – cioè lo Stato – dovrebbe pagare ad Autostrade "un importo corrispondente al valore attuale netto dei ricavi della gestione, prevedibile dalla data del provvedimento di decadenza sino alla scadenza della concessione, al netto dei relativi costi, oneri, investimenti e imposte nel medesimo periodo".

UNA PENALE DA VENTI MILIARDI
 
In parole povere, in caso di interruzione del contratto Anas dovrebbe pagare al concessionario, quindi ad Autostrade, un importo calcolato sugli utili previsti fino alla scadenza della concessione, stimato intorno ai venti miliardi di euro.

SOLUZIONE PEGGIORE DEL MALE
 
Secondo quanto dichiarato da Antonio Di Pietro, ex magistrato che è stato ministro dei Trasporti, la revoca della concessione sarebbe "una soluzione peggiore del male, un danno per lo Stato, perché difficilmente porterà a un risultato adeguato. Il rischio è che l’unico a guadagnarci sarà Autostrade".