CATANIA – Quella casa, a pochi passi dal fiume Milicia, “lì non doveva esserci”. Eppure, nonostante un’ordinanza di demolizione del 2008, l’immobile abusivo era ancora là, con nove persone all’interno, quella maledetta notte di sabato 3 novembre. Nessuno parli di fatalità, ma di un fatto che poteva essere evitato. Come ha detto padre Giuseppe Oliveri, durante i funerali delle vittime di Casteldaccia, va fermato “il rimpallo di responsabilità per rendere giustizia a chi non c’è più”.
Responsabilità che, in un primo momento, il sindaco Giovanni Di Giacinto aveva attribuito ai giudici amministrativi del Tar di Palermo, ai quali i proprietari dell’immobile si erano rivolti per chiedere l’annullamento del provvedimento del Comune.
In realtà, però, “l’avvocato dei ricorrenti non solo non ha presentato la domanda di fissazione di udienza, ma non ha neppure chiesto la sospensione dell’efficacia esecutiva dell’ordinanza di demolizione impugnata”. Perciò l’atto del Comune, come spiega Federica Cabrini, consigliere attualmente in servizio al Tar di Catania, ma con alle spalle anche dieci anni di servizio presso il Tar di Palermo, era “efficace ed immediatamente esecutivo e quindi l’immobile avrebbe dovuto essere demolito sin dal 2008”.
Dottoressa Cabrini, ci spiega qual è l’iter per la demolizione di un immobile abusivo?
“L’Autorità comunale adotta il provvedimento di demolizione che viene notificato ai proprietari e agli altri responsabili dell’abuso; essi devono provvedere a demolire l’immobile entro il termine di novanta giorni dalla notifica del provvedimento. Se non provvedono, l’immobile viene acquisito al patrimonio del Comune, il quale deve provvedere alla demolizione, a spese dei responsabili dell’abuso, spese che però vanno medio tempore anticipate dall’Amministrazione (il sindaco, infatti, ha poi cambiato versione, sostenendo di ‘non avere soldi’ per gli abbattimenti, nda). Il Comune, peraltro, può anche valutare di non demolire l’immobile ed utilizzarlo per scopi sociali, purché non ci siano vincoli di inedificabilità assoluta. Va aggiunto che spesso all’ordinanza di demolizione si accompagna una sentenza del giudice penale, che ordina anch’essa la demolizione dell’immobile, quando l’abuso, oltre ad essere un illecito amministrativo, configura un reato”.
Il Comune dunque può procedere, salvo che i proprietari del manufatto chiedano la sospensiva per bloccare l’efficacia del provvedimento. Nel caso di Casteldaccia l’ordinanza venne effettivamente impugnata, ma non vi fu alcuna istanza cautelare. Secondo lei perché?
“Forse chi ha costruito l’immobile sapeva che lì l’immobile non doveva esserci. In questo caso peraltro, a quanto mi consta, il Comune al quale è stato notificato il ricorso, ha ritenuto di non costituirsi in giudizio e quindi di non nominare un difensore che spiegasse le ragioni per cui quel provvedimento fosse legittimo”.
Perché dunque il Comune non si costituì nel procedimento?
“La decisione della parte intimata se costituirsi o meno in giudizio è una scelta difensiva discrezionale. Peraltro, la scelta di non costituirsi, per una Pubblica amministrazione, non è inusuale e ciò tenuto conto delle limitate risorse di cui dispongono gli enti locali. Il fatto quindi che il Comune non si sia costituito non può considerarsi di per sé come una ammissione della fondatezza del ricorso. D’altra parte, la Pubblica amministrazione sa che il giudice amministrativo valuterà se l’atto sia legittimo o meno e ciò a prescindere dalla sua costituzione; però, affinché il giudice amministrativo possa conoscere della causa, il difensore della parte ricorrente deve chiedere la fissazione dell’udienza, in mancanza il ricorso si estingue, senza che si sia svolta alcuna udienza. Aggiungo che nei ricorsi aventi ad oggetto un’ordinanza di demolizione, specie di immobili adibiti ad uso abitativo, la parte, se è convinta dall’illegittimità del provvedimento, chiede sempre al giudice di adottare un provvedimento d’urgenza e quindi di sospendere immediatamente l’efficacia esecutiva dell’atto. Nel caso di specie ciò non è accaduto: l’avvocato dei ricorrenti non solo non ha presentato la domanda di fissazione di udienza, ma non ha neppure chiesto la sospensione dell’efficacia esecutiva dell’ordinanza di demolizione impugnata e quindi il ricorso è stato dichiarato perento con un decreto presidenziale nel 2011. Pertanto, il provvedimento che ordinava la demolizione era ab origine efficace ed immediatamente esecutivo e quindi l’immobile avrebbe dovuto essere demolito sin dal 2008”.
A parte questo caso “atipico”, le richieste di sospensiva degli abbattimenti sono all’ordine del giorno al Tar. Quanto tempo impiegate per decidere?
“I ricorsi aventi ad oggetto le ordinanze di demolizione sono l’ipotesi tipica in cui i difensori chiedono la misura cautelare tenuto conto della natura degli interessi coinvolti. Sono migliaia i ricorsi di questo genere presentati ogni anno, specie nel Sud Italia: Sicilia e Campania in testa, in quanto Regioni nelle quali è più dilagante il fenomeno dell’abusivismo edilizio. Il giudice amministrativo peraltro provvede sull’istanza cautelare entro 10 giorni dal deposito del ricorso, dando quindi immediata tutela al cittadino che si ritenga leso da un provvedimento amministrativo illegittimo”.
E poi quanto tempo passa per la decisione nel merito?
“Posso parlare della prassi consolidata al Tar di Palermo, nel caso di specie strumentalmente ritenuto responsabile della morte di nove persone. Nella materia edilizia, nell’ipotesi di sospensiva accolta, quindi di demolizione bloccata, normalmente il tempo medio per la fissazione dell’udienza di merito è di circa un anno. D’altra parte, se non ci sono particolari questioni di diritto, il Giudice amministrativo, spesso si avvale di uno strumento importante che si chiama ‘sentenza in forma semplificata’: nella stessa udienza camerale in cui viene trattata la sospensiva, viene anche definito immediatamente il giudizio di merito. Faccio un esempio. Se un immobile in Sicilia è stato costruito, dopo il 1976, entro i 150 metri dalla linea della battigia, c’è poco da discutere, l’immobile va demolito e quindi la sentenza arriva in tempi brevissimi. Questo avviene solo grazie all’enorme impegno dei singoli Giudici relatori, essendo l’organico della Giustizia Amministrativa non solo sottodimensionato, ma anche largamente scoperto; non ho dati aggiornati, ma, a quanto mi consta, i Giudici amministrativi sono circa 500 tra primo e secondo grado ed oltre un terzo dei posti, credo che sia vacante”.
Tornando a Casteldaccia. Sono passati dieci anni dall’ordinanza di demolizione e, nonostante fosse efficace, nessuno ha provveduto ad eseguirla. In questo caso chi doveva sanzionare l’inerzia del Comune? La Procura di Palermo non sarebbe potuta intervenire in via sostitutiva?
“Consideriamo che in Italia e nel Sud sono migliaia le pratiche di abusivismo edilizio inevase, molte delle quali risalenti anche agli anni 80. Ciò detto, senza voler togliere responsabilità a nessuno, né ai proprietari che costruiscono immobili abusivi, né ai Comuni che non evadono le pratiche di condono e non demoliscono gli immobili abusivi, ovviamente non è mai semplice demolire una casa e ciò tenuto conto degli interessi coinvolti sia dal punto di vista dei privati, sia dal punto di vista degli amministratori locali, che non vogliono perdere consensi. Nel caso di specie, gli interventi sostitutivi sarebbero spettati alla Regione. La Procura sicuramente valuterà l’esistenza delle responsabilità penali”.
Come si potrebbe rendere più veloce l’iter degli abbattimenti?
“Quello che andrebbe fatto, a mio parere, anche considerando i limiti di bilancio delle amministrazioni locali, è di accentrare le competenze. Una volta che il provvedimento di demolizione è divenuto definitivo, preso atto del fatto che i Comuni spesso non vogliono o non riescono a demolire gli immobili abusivi tenuto conto dei vincoli di bilancio, allora si potrebbe pensare di accentrare le competenze negli Uffici territoriali del Governo, le ex Prefetture, o altra Autorità statale, che sarebbe così anche terza rispetto agli interessi locali”.
Ma, intanto, quando un abuso è manifesto, per esempio c’è un vincolo idrogeologico, non sarebbe auspicabile una riforma che preveda il filtro di un giudice monocratico per arrivare subito a decisione?
“L’introduzione del giudizio monocratico nel processo amministrativo è un argomento che può essere oggetto di discussione. Io personalmente sono contraria perché ritengo che la collegialità sia un valore aggiunto, una garanzia per il cittadino, le imprese e le pubbliche amministrazioni. Tre teste, ben pensanti, arrivano ad una decisione sicuramente più ponderata e quindi auspicabilmente più giusta. Purtroppo in Italia non c’è la certezza del diritto e ciò a causa di una giungla di leggi farraginose e contrastanti e spesso scritte male. La Sicilia, poi, è una Regione a Statuto speciale e questo significa che il Giudice amministrativo, in tante materie, fra le quali l’edilizia, prima di decidere un ricorso, deve porsi il problema di quale sia la norma da applicare. Decidere una controversia quindi qui in Sicilia è più complicato che altrove”.
Nonostante i vostri sforzi, talora siete additati come una sorta di “mostro burocratico” che impedisce la crescita e lo sviluppo del Paese…
“Il Giudice amministrativo troppo spesso è ritenuto ingiustamente responsabile di bloccare l’economia, impedendo persino ad un cittadino o ad un’impresa di aprire un’attività o alle amministrazioni di costruire celermente un ponte o acquistare beni di prima necessità. Ma oggi, a causa dell’abolizione dei controlli preventivi di legittimità sui provvedimenti amministrativi, il Giudice amministrativo è l’unico soggetto che può garantire la legalità dell’atto. Il giudice amministrativo è quindi una garanzia per il cittadino, non è un freno per l’economia e sicuramente non è responsabile per la morte di quelle povere persone”.