Legge 104/92, no ad interpretazioni “restrittive”

ROMA – La Corte di Cassazione, sezione Lavoro, con la sentenza n.30676 emanata lo scorso 28 novembre, ha respinto il ricorso di un datore di lavoro che chiedeva il via libera per il licenziamento di un proprio dipendente che aveva usato impropriamente i permessi concessi per ragioni di assistenza a disabili (i permessi 104/92).
 
Per i giudici, anche nelle giornate oggetto della contestazione, il lavoratore aveva dedicato il proprio tempo ad attività riconducibili in senso lato al concetto di assistenza, non potendo essere quest’ultimo interpretato in modo restrittivo limitatamente alla sola attività di accudimento del disabile.
 
Per la Corte di Cassazione, dunque, il concetto di assistenza al disabile (nel caso in questione per accudire la madre portatrice di handicap) deve essere interpretato in senso ampio rispetto alla semplice e materiale cura del soggetto disabile. Nel caso di specie la lavoratrice era stata accusata dall’azienda di aver utilizzato impropriamente i permessi a lei concessi per ragioni di assistenza alla madre disabile nonché di aver usufruito del congedo di malattia a seguito di intervento chirurgico in modo fittizio, essendo la stessa uscita di casa nel giorno in cui era stata sottoposta ad un intervento chirurgico.
 
La sentenza del Tribunale di Roma, in sede di procedimento ex lege n. 92/2012, aveva rigettato il ricorso della lavoratrice, diretta a definire illegittimo il licenziamento a lei intimato dalla società presso cui lavorava. La Corte d’Appello di Roma con la sentenza n. 5855/2016 aveva accolto il reclamo della lavoratrice, condannando la società a reintegrare la dipendente ed a pagare una indennità risarcitoria pari a 12 mensilità. I giudici di secondo grado avevano ritenuto che le contestazioni mosse alla dipendente, sostanzialmente consistenti nell’aver impropriamente utilizzato i permessi a lei concessi per ragioni di assistenza alla madre disabile e nell’aver usufruito di congedo per malattia risultata fittizia, fossero infondate.
 
La Corte di Cassazione, in ultima istanza, ha ritenuto impossibile interpretare il concetto di assistenza al disabile in modo restrittivo, facendo riferimento alla sola attività di accudimento diretto dello stesso; la stessa ricomprende anche il tempo e le attività riconducibili in senso lato al concetto di assistenza.
 
Si tratta di una sentenza che rinnova il panorama giuridico in tal senso. L’orientamento giurisprudenziale oggi prevalente ritiene invece che non possa considerarsi una forma di assistenza il fatto di svolgere attività ordinarie (come fare la spesa o andare a fare bancomat) che potrebbero essere svolte in qualsiasi momento della giornata (essendo attività non vincolate a orari precisi), senza necessità di richiedere i permessi 104 (Tribunale di Bari, sezione lavoro, sentenza del 4 febbraio 2014). L’articolo 33, comma 3, della legge 104/1992 riconosce al lavoratore che assiste un parente con disabilità grave, coniuge, parente o affine entro il secondo grado il diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito, anche in maniera continuativa, sempre che la persona disabile non sia ricoverata a tempo pieno. Tra gli esempi di giusta causa di licenziamento troviamo: sfruttare i permessi per sostenere esami universitari; per svolgere un secondo lavoro o per partecipare a serate danzanti. Allo stesso tempo è ritenuto legittimo il ricorso ad agenzie investigative per accertare abusi, che integrano anche il reato di truffa ai danni dello Stato.