I fondi dei gruppi consiliari seguono fini istituzionali

PALERMO – I presidenti dei gruppi consiliari regionali non possono utilizzare i fondi assegnati dalle Assemblee regionali per finanziare servizi o per effettuare spese che non rientrano nelle finalità istituzionali per le quali le somme sono state stanziate. In caso di utilizzo improprio dei fondi si configura una responsabilità per danno erariale. Questo è quanto si evince dalla lettura dell’ordinanza numero 1035, emanata dalle sezioni unite della Corte di Cassazione lo scorso 16 gennaio.
 
Al centro della vicenda il ricorso mosso dalla procura regionale presso la sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione siciliana contro Giambattista Bufardeci, nella sua qualità di presidente del Gruppo parlamentare “Grande Sud” all’Ars. Veniva chiesta la condanna al pagamento di oltre 71 mila euro, a titolo di danno erariale, patito dall’Ars, per le somme erogate al gruppo e utilizzate per finalità non istituzionali (spese per rimborso missioni, alberghi, ristoranti, taxi, spese personali e per la campagna elettorale di alcuni deputati regionali).
 
Il giudice contabile osservava che “i gruppi dei Consigli regionali hanno natura pubblicistica e i contributi pubblici sono ad essi attribuiti secondo specifici vincoli impressi dalla legge e predefiniti con esplicito asservimento a finalità istituzionali del Consiglio regionale”. Dunque, la responsabilità per danno erariale di Bufardeci era nell’aver utilizzato, abusandone, i contributi percepiti per finalità distorte rispetto al soddisfacimento di un fine pubblico, cui detti contributi erano vincolati.
 
I giudici di legittimità sottolineano la correlazione tra la natura pubblicistica dei contributi e le finalità istituzionali per le quali tali fondi possono essere utilizzati. Tra esse rientrano in maniera tassativa solo quelle funzioni correlate all’Assemblea regionale, ragion per cui è legittima la condanna per l’utilizzo abusivo dei contributi.
 
Il medesimo principio emerge dall’ordinanza 1034 dello stesso giorno, emanata dalle sezioni unite della Corte di Cassazione. In questo caso, i presidenti di tutti i Gruppi consiliari della Regione venivano condannati dalla Corte dei conti per aver pagato con i fondi loro assegnati “spazi di comunicazione fornita da emittenti radiotelevisive locali” nel periodo 2010-2012. Non si trattava dei tradizionali messaggi autogestiti di comunicazione politica, ma di spazi di informazione giornalistica. Di qui la responsabilità per danno erariale, non essendo ammissibile che le emittenti locali ricevano denaro per “ogni partecipazione radiotelevisiva” dei politici locali.
 
Per i consiglieri, tuttavia, i giudici contabili avevano esorbitato i limiti della propria giurisdizione sindacando questioni rimesse all’autonomia politica dei Gruppi consiliari. Spetterebbe a questi, cioè, la scelta su come utilizzare le risorse, mentre alla Corte dei conti toccherebbe effettuare non un controllo sul merito della spesa ma solo una verifica delle spese in sede di parifica.
Così non è però per la Cassazione che dichiara inammissibili i ricorsi, sottolineando la bontà della decisione dei giudici contabili. Ebbene, per la Suprema corte la Corte dei conti è legittimata a verificare la difformità delle spese sostenute rispetto alle finalità di interesse pubblico, “con riferimento a criteri oggettivi e di conformità e di collegamento teologico” con il quadro normativo di riferimento.