PALERMO – Le competenze scolastiche degli studenti siciliani sono tra le più basse in Italia.
Il dato emerge da uno studio effettuato da Openpolis, fondazione che si occupa della raccolta e rielaborazione di dati d’interesse pubblico, che ha rielaborato alcuni indici del Rapporto Invalsi 2018.
Appare opportuno ricordare che le prove Invalsi sono dei test standardizzati, su base nazionale, per la rilevazione degli apprendimenti, che vengono somministrati nelle seconde e quinte elementari, prime e terze medie e in tutte le seconde superiori, sono test preparati dall’Invalsi e servono, nelle intenzioni del ministero dell’Istruzione, a valutare il livello di preparazione degli alunni italiani, in Italiano e Matematica.
L’analisi evidenzia che i ragazzi delle seconde superiori in Sicilia hanno un livello di competenze alfabetiche e numeriche solo maggiori degli studenti sardi e calabresi.
Nella classifica vi è una netta separazione tra regioni settentrionali e meridionali: a guidare è la Provincia aut. di Trento, seguita dal Veneto, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Marche, Piemonte, Umbria Liguria Valle d’Aosta, Toscana, Provincia di Bolzano, Abruzzo, Lazio, Basilicata, Molise, Puglia, Campania, Sicilia, Sardegna e Calabria.
Il report, inoltre, pone in correlazione le condizioni socio economiche della famiglie ed i livelli di apprendimento evidenziando che lo status socio – economico – culturale influiscono sui risultati nelle prove per tutto il corso degli studi. In tutte le materie testate dall’Invalsi e in tutti i gradi scolari, dalla scuola primaria alla scuola secondaria di secondo grado, è osservabile una correlazione positiva tra indice di status e punteggio nelle prove, ma, chiaramente, non può semplificarsi questa analisi in una relazione di tipo semplicistico. Esiste una quota di alunni svantaggiati che consegue comunque ottimi risultati (i cosiddetti resilienti). Ma è la tendenza media che merita un approfondimento. La condizione della famiglia sembra influire sia sui risultati, sia sulla scelta del percorso scolastico dopo la terza media.
Questa tendenza finisce con l’aggravare le disuguaglianze già esistenti. Sebbene nessun paese riesca a garantire una parità effettiva, non c’è nulla di inevitabile nel processo per cui le disuguaglianze si trasferiscono da una generazione all’altra. L’efficacia delle politiche pubbliche può fare la differenza, come hanno confermato alcune recenti analisi dell’ Ocse.
La qualità del sistema scolastico è uno degli aspetti più importanti sui quali intervenire. A parità di condizione della famiglia di origine, sistemi educativi diversi possono restituire risultati migliori o peggiori, in termini di apprendimento, acquisizione di conoscenze e competenze. Una parziale conferma si nota osservando il dato sugli studenti resilienti, si tratta di alunne e alunni che conseguono i risultati migliori, pur provenendo da un contesto socioeconomico deprivato.
Lo studio è stato prodotto dall’Ocse-Pisa. L’acronimo Pisa si riferisce al Programme for International Student Assessment, che è un’indagine internazionale promossa dall’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) alla sua settima edizione (PISA 2018). In Italia il valore è pari al 26,6% di studenti resilienti. Questi dati indicano che sul fenomeno i margini di intervento possono essere ampi, anche attraverso il sistema scolastico.
Nel complesso l’insieme di questi indici evidenziano che sul fenomeno i margini d’intervento possono essere ampi, anche, attraverso il sistema scolastico, che rimane un elemento essenziale per la crescita di un Paese.
L’analisi tende, concretamente, a far emergere il nesso tra sviluppo scolastico e crescita economica, poiché, se nelle regioni meridionali, caratterizzate da una condizione economica più fragile rispetto al resto d’Italia, si associasse, anche, una maggiore distanza in termini di competenze scolastiche acquisite tra gli studenti, la possibilità di uno sviluppo diverrebbe davvero complesso.