Ci diceva il dirigente generale dell’assessorato Territorio e Ambiente che solo la metà dei Comuni siciliani possiede un Piano regolatore aggiornato. L’altra metà, invece, non fa una politica del territorio se non approvando di volta in volta varianti dei vecchi piani regolatori, che consentono abusi e stravolgimenti non confacenti a una sana amministrazione.
Sorge il legittimo sospetto che convenga, a una classe politica corrotta, non formulare i nuovi Piani regolatori perché in questo modo si favoriscono i mercanti che intendono cementificare e compiere ogni azione di deturpazione, in spregio alle più elementari norme ambientali. Beninteso, il tutto è dotato di timbri e bolli.
Il disastro idrogeologico di alcuni comuni costituisce la punta dell’iceberg di una situazione che si è verificata in Sicilia in questi oltre sessant’anni dal dopoguerra. Un disastro che mette in tutta evidenza la gravissima responsabilità dei sindaci nonché, in via sussidiaria, quella dei governi regionali che hanno seguito canali clientelari piuttosto che interessi generali.
La miopia delle amministrazioni regionale e locali è stata quella di assumere inutile personale che ha assorbito quasi tutte le risorse finanziarie disponibili. Mentre dovevano utilizzare le stesse risorse per investimenti in infrastrutture e investimenti produttivi. Per far questo era necessario formulare un Parco di progetti cantierabili in modo da poter chiedere i relativi finanziamenti (europei, statali e regionali) per la rapida realizzazione delle opere.
Invece di fare quanto precede, i sindaci sono rimasti inattivi o, peggio, hanno consentito a speculatori e corruttori di violare in ogni modo il loro territorio. Costruzioni regolarmente approvate sono state edificate in greti di torrenti, sui fianchi di colli e montagne a danno di un disboscamento che ha minato le difese del territorio. Sono state anche costruite fondamenta non adeguate ai rischi sismici, il tutto condito da violazioni non punite.
Quello che descriviamo è il fenomeno del cosiddetto cemento legale, causa non secondaria di smottamenti e disastri ambientali, frutto di miopia dei sindaci che hanno perseguito la politica dello scambio fra consenso e favore.
Poi c’è l’altra faccia, quella del cemento abusivo, che si distingue in due filoni: gli abusi effettuati in immobili già esistenti e quelli in immobili costruiti nella notte ex novo. Dal momento che ogni Comune è dotato di una Polizia locale c’è da chiedersi dove sono stati migliaia e migliaia di vigili che non hanno visto edifici sorgere come funghi quasi per magia. Corpi dei vigili che non hanno fatto il loro dovere di segnalare tempestivamente alla Magistratura il cemento abusivo per il relativo sequestro e la tempestiva demolizione dei manufatti.
In Sicilia non si demolisce nessuno degli aberranti stabili costruiti in violazioni delle norme territoriali, perché demolire non viene considerato un esempio positivo, ma un pericolo per il consenso. Naturalmente, il consenso interessato e negativo.
I sindaci non hanno capito che c’è un altro modo per ottenere il consenso, basato su un’azione di qualità che preveda progetti d’infrastrutture, di ammodernamento e di innovazione che danno positivi riflessi a tutti i cittadini nel tempo. Siccome ogni consiliatura dura cinque anni, i sindaci avrebbero potuto attuare un’azione politica, anche impopolare, nei primi tre per raccogliere il consenso negli ultimi due.
Qualche sindaco l’ha fatto, si è comportato in modo virtuoso e ha raccolto il consenso alternativo a quello dello scambio. Molti altri, invece, e segnatamente quelli dei capoluoghi, si sono comportati in maniera opposta e sono ancora costretti a lesinare il consenso perdendo intere giornate nel ricevere i clientes.
Che un sindaco stia vicino ai propri elettori è pacifico, ma egli deve discernere le richieste private da quelle che riguardano l’interesse generale e dire subito che le prime non possono essere soddisfatte, soprattutto quelle riguardanti i cosiddetti posti di lavoro nella propria amministrazione. Anche in questo caso però vi è una risposta: i posti di lavoro si creano con le attività produttive e non con il parassitismo.