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TerrAcqueo, a Palermo 324 reperti raccontano il Mediterraneo

PALERMO – Dai saggi dei più grandi autori di pubblicazioni sul Mediterraneo emerge spesso che a dominare è la terraferma, analizzata e approfondita con lunghe e meditate indagini verso l’interno piuttosto che verso la distesa d’acqua nella quale città grandi e piccole si specchiano. Il mare svolgerebbe una funzione di supporto. Leggendo questi studi, ci si immerge non nelle acque del mare, ma in quelle della storia più periferica, marginale, costiera. Questa mostra, o meglio questa “narrative exhibition”, non a caso è intitolata “Terracqueo”.
E non per fare un torto al mare, che rimane il protagonista: non esisterebbe, altrimenti, la terraferma.

“Terracqueo” è stata inaugurata ieri a Palazzo Reale di Palermo e resterà visitabile fino al 31 gennaio 2021. Erano presenti tra gli altri il presidente della Fondazione Federico II Gianfranco Micciché, il direttore generale della Fondazione Federico II Patrizia Monterosso, l’assessore ai Beni Culturali e all’Identità Siciliana Alberto Samonà, il direttore del Museo Archeologico Nazionale di Napoli “Mann” Paolo Giulierini, nonché altri illustri ospiti, che hanno simbolicamente tagliato una cima, anziché il consueto nastro.
“Terracqueo – ha detto l’assessore Alberto Samonà- segue un percorso che dall’antichità giunge fino al periodo bizantino, per approdare, poi, alla sezione Il Mediterraneo Oggi”.
“Questa mostra è l’occasione per una riflessione che tutti dovremmo fare, quella di rileggere questo piccolo mare, scrigno di bellezze e sorprese, alla luce dell’attualità”.

Ricostruire la storia del Mediterraneo – lungo un percorso articolato in 8 sezioni, dalla geologia ai giorni nostri, passando per il commercio, le guerre, le navigazioni e l’archeologia subacquea – assume un significato che è solo marginalmente espositivo. Il tentativo, certamente ardito e sicuramente apprezzabile della Fondazione Federico II e del Comitato Scientifico multidisciplinare con la collaborazione di decine di prestigiose istituzioni museali, è di raccontare e trasferire al visitatore “un” concetto di Mediterraneo per dargli accesso alla sua “anima”, pur nelle diverse sfaccettature e opinioni messe in evidenza nel tempo da autori come Braudel, Abulafia e Broodbank.

L’obiettivo è dichiarato: donare al visitatore una chiave di lettura dell’antichità per rituffarlo improvvisamente nel presente e fargli percepire cosa era il Mediterraneo ieri e cosa è diventato oggi. Ecco perché l’ultima sezione è intitolata “Il Mediterraneo. Oggi”, un reportage crudo e senza filtri, opera della fotografa Lucia Casamassima e del giornalista Carlo Vulpio, che avverte: “non ci troviamo di fronte ad un melting pot e nemmeno di fronte a diversità da tenere assieme, bensìa tante identità e culture profonde. è il più grande condominio del mondo, all’interno della quale ognuno considera gelosamente nostrum la fetta di mare da cui è bagnato”.

“Il Mediterraneo è tutto Terzo mondo, – ha detto detto il presidente della Fondazione Federico II e presidente dell’Ars, Gianfranco Micciché – tutti i Paesi che vi si affacciano sono più o meno poveri, ma è il centro della civiltà mondiale. Non credo che la civiltà porti povertà, ma è possibile il contrario e cioé che la povertà, le difficoltà e il dover combattere ogni giorno producano civiltà”.

“Una civiltà – ha proseguito Micciché – che unisce i popoli del Mediterraneo: il pensiero, infatti, che essa possa dividere è una follia”.
E ha aggiunto: “I siti archeologici siciliani sono i più curati del mondo. Se si considerano la Valle dei Templi, Segesta o Selinunte, a differenza del Partenone di Atene o delle piramidi egizie tenute malissimo, noi abbiamo mantenuto i nostri siti in maniera straordinaria”.