PALERMO – La sua è una struttura forse ignota al grande pubblico. Di cosa si occupa esattamente l’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato di cui lei è direttore generale?
“Vi dò un dato sorprendente: l’Amministrazione dei Monopoli di Stato è il terzo ente, in Italia, dal punto di vista del fatturato e ha superato pure la Fiat, grazie ad una raccolta complessiva di oltre 53,8 miliardi di euro. La nostra attività si estrinseca nel campo dei tabacchi e dei giochi. L’Istituzione Autonoma dei Monopoli di Stato è nata nel 1927 sotto l’egida del ministero delle Finanze, e fino agli anni Settanta, si è occupata di sale e tabacco. In seguito, alla fine degli anni Novanta, è stato scorporato dall’attività dei monopoli tutto quello che riguardava la fabbricazione e la commercializzazione dei tabacchi la cui gestione è passata, con capitale interamente pubblico all’inizio e poi privato, a una società del ministero del Tesoro. Questo significa che, per quel che riguarda il regime concessorio, noi non abbiamo abbandonato il settore dei tabacchi, che vengono venduti in via esclusiva da 58 mila esercizi. Ed è compito nostro sovrintendere tutto ciò che attiene alla gestione di questi concessionari”.
Con quali regole si può mantenere una distribuzione non competitiva.Questa rete di 58 mila punti vendita trova analogie in Europa?
“Noi abbiamo norme regolamentari e leggi che disciplinano il regime concessorio, che per quanto riguarda i tabacchi è ancora in esclusiva e quindi gode ancora di una posizione di ingresso favorevole in sede europea. Come sappiamo, non tutte le legislazioni nazionali prevedono un regime di esclusiva che serve, tra l’altro, a garantire la tutela della salute e consente un maggior controllo delle accise (attestate intorno ai 18 miliardi di euro). Su una raccolta complessiva di 54 miliardi, l’entrata netta nelle casse dello Stato è stimata sui 9-10 miliardi mentre, per quanto riguarda il settore tabacchi, siamo sui 13 miliardi.
I 58 mila punti di vendita, secondo i nostri studi, sono più che sufficienti per soddisfare la domanda, anche in rapporto alle altre realtà esistenti. Infatti, oltre alle rivendite ufficiali, noi rilasciamo migliaia di patentini per delle sub-rivendite che svolgono una funzione suppletiva, anticipando o posticipando il servizio durante le fasce orarie non coperte dagli esercizi tradizionali. A tal proposito esiste una regolamentazione che, a seconda della collocazione geografica, stabilisce alcuni parametri relativi a redditi e distanze.
A Palermo, ad esempio, la distanza minima prefissata tra due rivendite è di circa 200 metri. Ma non basta rispettare questo parametro per ottenere il permesso: bisogna infatti considerare pure il fatturato complessivo delle tre rivendite più vicine. Fatturato che non deve superare una certa soglia per consentire la "vivibilità" di una quarta eventuale rivendita. Il conteggio è assolutamente rigoroso: basti pensare che ci capita di ricevere ricorsi per soli 50 centimetri di violazione tra una rivendita e l’altra. La mia personale previsione, comunque, è che un monopolio di questo tipo molto difficilmente possa continuare in futuro”.
Qual è la proporzione della vendita di sigarette rispetto a tutti gli altri servizi che oggi offrono i tabaccai?
“I tabaccai, è vero, oggi non sono più soltanto venditori di merce, ma hanno avuto la capacità, grazie anche a un fortissimo organismo sindacale, di trasformarsi in centri di servizi. Ma io li invito, durante i nostri incontri, a non dimenticare mai che il motore principale dell’attività rimane sempre il tabacco. La commissione che ne ricava il gestore è del 10% circa, ma noi calcoliamo che non sono più di 15 mila i punti vendita che ottengono guadagni significativi da questa sola attività.
Nei piccoli centri, esistono infatti anche rivendite che fungono da panificio, tanto per fare un esempio, e sfruttano la vendita del tabacco come traino per altre attività. La nostra categoria è cresciuta moltissimo in questi anni grazie a una spiccata lungimiranza”.
Incremento del volume di affari nel settore dei giochi e contrasto all’economia delle scommesse illegali
Parliamo adesso del settore dei giochi che voi gestite, un settore nuovo ed in forte crescita…
“Sì, i giochi che possediamo sono moltissimi. Del resto, siamo un paese di giocatori. Noi dal 1994 abbiamo ereditato lotterie e gioco del lotto grazie al processo che ha portato all’automatizzazione delle puntate. Un altro passaggio chiave è stato nel 2001, quando si rese necessaria, per dare uniformità al comparto, l’identificazione di un organismo pubblico unico che presiedesse tutto il sistema dei giochi. Compito che è stato affidato all’Amministrazione dei Monopoli di Stato. Noi operiamo, in un settore che produce adesso molto più denaro rispetto agli anni passati e a prima dell’introduzione dell’euro. Non è difficile, quindi, scoprire sacche di illegalità annidate soprattutto qui nel Sud. A fronte dei 16 miliardi che avevamo nel 2002, oggi ne abbiamo 53: e questo cosa significa? Non sono certo gli italiani a giocare di più, sono le attività illegali, a influire su queste cifre. E proprio questo settore assorbe gran parte delle illegalità: pensiamo, a esempio, al giro dei giochi clandestini. Un messaggio positivo che abbiamo voluto dare si trova già nel nostro logo pubblicitario: raffigura un timone e simboleggia il ruolo di riferimento che ha lo Stato nel mare tempestoso e nebbioso dei giochi. A noi spetta il compito di tutelare il gioco e i giocatori e d’intervenire in quei campi dove risulta più facile agire in maniera illegale. Ritengo primaria l’importanza di questo messaggio”.