PALERMO – Questa volta gli alibi della politica siciliana possono essere davvero pochi. Non ci si può appigliare ad una legge troppo vecchia ed oggi superata o alle mutate condizioni del mercato. Perché il flop normativo porta la firma, di appena qualche mese fa, dell’Assemblea regionale siciliana. Esattamente novembre del 2008, quando fu data vita alla legge numero 15, pubblicata in gazzetta ufficiale il 24 novembre.
Stiamo parlando della cosiddetta norma introdotta nel settore edile e relativa alle “misure di contrasto alla criminalità organizzata”. Un testo che si è rivelato una vera zavorra per le imprese edili, come se già non fossero sufficientemente piegate dalla Pubblica Amministrazione. Vedasi i dati sugli appalti pubblici in Sicilia che sono scesi dal miliardo e 270 milioni di euro del 2007 ai 652 milioni e 857 mila euro del 2008 con un decremento di quasi la metà, pari al 48,59 per cento (dati Filca Cisl). E mentre questo importantissimo settore per l’economia cola a picco nell’Isola, si assiste invece ad altri andamenti altrove per mezzo proprio delle pubbliche amministrazioni: persino nel Mezzogiorno ci sono segnali di ripresa come in Sardegna dove, segnala la Cna, prosegue il trend espansivo per il mercato delle opere pubbliche regionali.
Le gare per opere pubbliche promosse sono state mille e 769, pari ad un +47 per cento. Spostandoci al Nord, dove è risaputo che gli affari edili vanno certamente meglio che in Sicilia, si susseguono le iniziative di sostegno della pubblica amministrazione. Ad esempio la Regione Lombardia ha dato un’accelerazione sulle grandi opere grazie ad una legge regionale specifica, la numero 15, approvata dal Consiglio Regionale il 15 maggio 2008 e subito definita come la “norma ad hoc per Tem, Brebemi e Pedemontana”. In pratica si dà il potere al governo regionale di sostituire gli organi competenti in caso di ritardi nell’esitazione dei pareri, come indizioni di conferenza di servizi, valutazioni di amministrazioni locali e pronuncia di compatibilità ambientale dell’opera.
Insomma, verrebbe quasi da dire che esiste un’Italia edile dalle due velocità con la Sicilia perenne fanalino di coda che non trova proprio nelle pubbliche amministrazioni il dovuto sostegno. Anzi, come nel caso della legge 15 del 2008, si azzoppa l’impresa.
“è assurdo – dice Ferdinando Ferraro, direttore dell’Ance (associazione nazione costruttori edili) – il passaggio del conto unico inserito in questa norma. Si impone all’impresa aggiudicataria di un appalto l’apertura di un nuovo conto corrente bancario. L’idea era quella di monitorare continuamente il flusso dell’entrate e delle uscite ma si sta rivelando un fallimento. Anche perché la pubblica amministrazione finisce spesso per ritardare i pagamenti ed allora l’impresa è chiamata a fare continui passaggi burocratici tortuosi per spostare il denaro nel conto ed anticipare le somme ai proprio dipendenti e alle ditte fornitrici. Per superare questo problema basterebbe un semplicissimo conto aziendale per ogni impresa, da cui potere comunque avere garantita la tracciabilità senza doverne aprire un nuovo per ogni singola opera pubblica”.
Sempre in merito notevoli anche le perplessità di un noto giurista, Michele Costa, figlio del Procuratore capo di Palermo Gaetano Costa ucciso dalla mafia: “questa nuova legge – commenta – non solo tratta alla stessa stregua i problemi della “foca monaca” e della mafia, ma prevede interventi a pioggia demandati all’organo politico senza un progetto complessivo e senza alcuna verifica, perpetrando un sistema che ha già avuto un nefasto risultato. Volendo alzare il livello d’intervento, si occupa di appalti e stabilisce che per quelli superiori ai 100 mila euro l’aggiudicatario deve operare con un unico conto. Evidentemente, si è convinti che le tangenti vengano pagate con assegni e che il riciclaggio si faccia con i bonifici bancari. La storia ci insegna che purtroppo Cosa Nostra è molto più intelligente”.