PALERMO – I Confidi? Troppi e di piccole dimensioni. E di conseguenza con potenzialità patrimoniali abbastanza limitate, non in grado quindi nel tempo di dare sostanziali contributi anche in un’ottica di maggior sostegno alle imprese nei mesi a venire, almeno stando alle proiezioni degli economisti che parlano di una crisi in Sicilia che esploderà in pieno entro il 2010.
Serve quindi un’opera di fusione tra i vari Confidi se si vuole arrivare al reale obiettivo di sostenere l’economia siciliana e quindi anche le piccole e medie imprese, così come da statuto fondante di questi organismi. Parola di Roberto Bertola, presidente dell’Abi Sicilia, l’associazione delle banche italiane, che quindi traccia un nuovo scenario nell’Isola, un nuovo percorso che possa essere realmente utile per rilanciare il sostegno alle pmi. Anche perché bisogna tenere in considerazione i processi normativi di cambiamento in tal senso, ed il riferimento è il passaggio dall’attuale regime previsto dall’articolo 106 del Testo unico delle banche a quello 107, cioè diventare intermediario finanziario vigilato dalla Banca d’Italia.
“L’obiettivo principale dei Confidi, in tale contesto, – sottolinea Bertola – deve essere quello di accrescere il proprio capitale, il proprio patrimonio, le professionalità e le strutture, per rafforzare il proprio posizionamento nei confronti del Mercato migliorando la qualità del credito per il sistema e la qualità dei servizi ai propri associati. Ai processi di modernizzazione sarebbe opportuno che si affiancassero poi anche processi di riorganizzazione dei Confidi presenti sul territorio tesi proprio a crescere in termini patrimoniali e dimensionali, ad esempio attraverso fusioni che accrescano anche la capacità di negoziazione ma soprattutto di relazione/fiducia/collaborazione con il sistema bancario che si traduca in vantaggi e benefici per le imprese”.
Già c’è qualche buon esempio in Sicilia, a cominciare da quello di Fidimpresa che rappresenta un percorso in tale direzione, provenendo da una fusione per incorporazione del Confidi del Mediterraneo a sua volta già nato dall’accorpamento dei Confidi di Siracusa e Ragusa, prevedendo già nel proprio Statuto l’ipotesi di successivi accorpamenti con altre strutture che condividano tale progetto di sviluppo. L’unico Confidi non solo siciliano, ma dell’intero meridione che, ad oggi, ha raggiunto l’obiettivo, proprio lo scorso 12 marzo, di essere stato iscritto nell’elenco speciale della Banca d’Italia ex articolo 107, proviene dalla fusione di ben nove Confidi e si tratta dell’Unifidi Imprese Sicilia della Cna.
“Nonostante le aggregazioni e le fusioni già realizzate e le previsioni della legge regionale n.11/2005 che prevede incentivi per tali operazioni, – precisa Bertola – il numero di Confidi attualmente presenti in Sicilia è ancora abbastanza elevato: ce ne sono circa 40 operativi, di cui solo meno di una decina sviluppano oltre il 90 per cento delle garanzie. Da qui l’esigenza di indirizzare da parte della Regione e delle Banche i rispettivi interventi e supporti in tale direzione”.
PALERMO – La Regione Siciliana ha già erogato diversi finanziamenti ai Confidi. Dopo i fondi stanziati in favore di agricoltura e commercio adesso è il momento di finanziare per l’appunto i Consorzi Fidi, ovvero gli enti di garanzia che permettono l’accesso al credito alle pmi locali. Secondo i calcoli della Camera di Commercio siciliana l’investimento messo in atto dalla Regione dovrebbe determinare un milione e mezzo di euro di nuovi affidamenti da parte dei Consorzi per le imprese, ovvero un milione e mezzo di prestiti in più erogati alle pmi. Il sostegno ai Fidi è un sostegno indiretto alle imprese locali, agricole, artigiane, commerciali ed industriali indiscriminatamente e si dovrebbe concretizzare in uno sviluppo economico della provincia; l’iniziativa è anche mirata all’abbattimento del fenomeno dell’usura particolarmente presente nel sud Italia, grazie alla concessione di prestiti regolari. Non mancano comunque le polemiche indirizzate alla Regione: “C’è – spiega il deputato regionale Roberto Corona – una mancata copertura totale delle domande comunque presentate ai Confidi. A fronte di un fabbisogno di copertura, sancita per norma, di 50 milioni di euro, ci troviamo con una disponibilità di appena 10 milioni: vale a dire, appena il 20 per cento”.