Il pizzo freno allo sviluppo delle imprese

PALERMO – Il pizzo in città come prezzo altissimo pagato allo sviluppo dell’economia. Ed a farne le spese sono in prima persone le imprese ed il commercio. In Sicilia questa piaga non sembra proprio riuscire ad essere estirpata, anzi.
Da quanto emerge da uno studio della Fondazione Chinnici il racket costa alla Sicilia 1,3 punti percentuali del Pil, e le tangenti sono più elevate nella provincia di Messina rispetto a quella di Palermo. E sempre secondo questo studio, infatti, il commercio al dettaglio tra Catania, Siracusa e Palermo subisce una tangente media mensile che si aggira attorno ai 400 euro, mentre i commercianti della provincia di Messina sono quelli che subiscono richieste più elevate.
Il tutto viene confermato anche dalla Direzione nazionale antimafia attraverso uno dei suoi esponenti più rappresentativi, il sostituto Giusto Sciacchitano: “Tutto questo ha un costo sociale altissimo – spiega Sciacchitano –, perché il problema del racket non si esaurisce nel costo aggiuntivo che impone agli imprenditori e ai commercianti e che quindi imprenditori e commercianti poi in qualche modo trasferiscono sui consumatori. Il racket ha anche un costo economico-sociale molto più grave. Il contesto di insicurezza che caratterizza il sistema economico disincentiva la creazione di nuove imprese e scoraggia quanti operano già nel settore dall’espandere la propria attività commerciale; l’imprenditore, per non palesarsi agli occhi dell’organizzazione criminale, potrebbe scegliere di non ampliare la propria attività pur avendone i margini e le potenzialità. In questo senso il racket produce un effetto ancora più negativo, ancora più inquinante, in quanto costituisce un ostacolo allo sviluppo ed è un fattore di declino dell’economia messinese”.
 
E secondo un’altra recente indagine, questa volta di Altroconsumo, Messina risulterebbe la città più cara d’Italia a parità di paniere di spesa, tallonata comunque da Palermo e Catania. C’è poi il solito problema del “vuoto” legislativo oppure della legge senza attuazione in Sicilia perché soldi non ce ne sono. In quest’ultimo caso un problema è emerso riguardo ad una legge regionale dell’anno scorso molto pubblicizzata ma che per l’appunto è priva di fondi e quindi rimane solo sulla carta. Lo ha verificato la Calcestruzzi Ericina nella persona dell’amministratore giudiziario di beni confiscati, Luigi Miserendino, che ne è a capo e che adesso si sta occupando di traghettare l’impresa dalla confisca al rientro nel mercato.
 
“Si tratta di una legge senza soldi, – dichiara Miserendino – cioè i contributi non possono essere presi da alcuna parte perché non c’è nessun capitolo corrispondente, ma debbo dire di più. Ho avuto difficoltà addirittura a trovare l’ufficio della Regione al quale rivolgersi. Una legge che solo sulla carta è rimasta abbastanza buona, ma nessuno ha pensato a mettere dentro anche un solo euro per farla funzionare”. E così in Sicilia ci si arrovella sempre sugli stessi problemi mentre la coperta si dimostra ancora una volta troppo corta.
 

 
Sos Impresa: ci si organizza per contrastare il fenomeno
 
PALERMO – Proprio in questi giorni Sos Impresa in Sicilia, organismo promosso da Confesercenti nel 1993 per essere a totale sostegno delle imprese e degli imprenditori in difficoltà, si è data una nuova organizzazione eleggendo come suo presidente l’imprenditore Riccardo Santamaria. “è significativo che parta da Palermo – ha dichiarato Lino Busà, presidente nazionale di Sos Impresa – il progetto di riorganizzazione di Sos Impresa che riguarderà tutto il territorio italiano”. Un rinnovato impegno anche da parte di Santamaria, da anni in prima linea nella lotta contro il racket e l’usura. “Ringrazio quanti mi hanno accordato la loro fiducia – dichiara Riccardo Santamaria – e confido nella collaborazione e nel sostegno di tutti per organizzare e rilanciare l’iniziativa di Sos Impresa Sicilia, finalizzata a liberare le imprese siciliane dai condizionamenti mafiosi a partire dal racket e dall’usura”. Santamaria è un noto imprenditore del ragusano, già alla ribalta in provincia di Ragusa e in Sicilia per essersi opposto al racket delle estorsioni negli anni bui del ‘90, subendo ben cinque incendi nella propria azienda e un attentato alla persona.