PALERMO – Tempi duri e pieni di fermento per la pubblica amministrazione. “Il Piano e-gov 2012 rappresenta un impegno per l’innovazione, la diffusione di servizi di rete, l’accessibilità e la trasparenza della Pa, per avvicinarla alle esigenze di cittadini e imprese”, così ha dichiarato il ministro Renato Brunetta nel corso di una lunga intervista rilasciata al nostro quotidiano. Ciò significherà la riduzione del 25 per cento degli oneri amministrativi, dunque maggiore competitività entro il 2012.
Particolarmente attuale risulta, parlando di Pa, il libro di Antonio La Spina e Antonino Cangemi dal titolo “Comunicazione pubblica e burocrazia” (Franco Angeli editore). A La Spina è affidata la prima parte che si occupa degli aspetti della comunicazione pubblica attraverso le esperienze straniere e le indicazioni comunitarie, non dimenticando l’attenzione al Belpaese; a Cangemi è affidata la seconda parte, un ironico viaggio attraverso vizi e vezzi della burocrazia. Con stili e spirito differenti i due autori raccontano la “roccaforte Pa”.
Il primo è ordinario di sociologia presso l’Università di Palermo, non nuovo ad avventure editoriali.
Il secondo è dirigente presso la Regione siciliana, ha presieduto vari uffici e anche lui non è nuovo ad esperienze editoriali. Comunicazione è probabilmente uno dei termini più abusati dei nostri tempi, mai abbastanza, forse, quando parliamo di e in “burocratese” per la necessità di chiarezza auspicata. Se da sempre il burocrate aspira al termine aulico (o oscuro, questione di punti di vista) attingendo non solo al vocabolario italiano, ma avido com’è, anche a quello latino, oggi sempre più spesso nei documenti ufficiali non mancano le parole anglosassoni (action planning, check list, backoffice, advisor…ecc). Ma stando agli autori nei corridoi dei palazzi pubblici volentieri si chiacchiera anche in dialetto. Parrebbe (è questo un tempo verbale caro al burocrate, perché espressione del pensiero scettico) essere molto apprezzato perché sempre meno diffuso. E chi è dedito all’esercizio del potere ama tutto ciò che è esclusivo, per pochi.
Nel libro è preso di mira tanto il modo in cui realmente comunicano le Pa, quanto il modo in cui gli utenti vorrebbero che con loro dialogassero, ovvero: con periodi brevi, termini limpidi, affermazioni nette.
Mentre il povero utente, si trova di norma, di fronte ad una condizione esattamente opposta, dove non si può fare a meno di un addivenire (al posto di pervenire), di un’alienazione (al posto di vendita), di un all’uopo (al posto di al fine) di un’avocazione (al posto di assumere a sè), di un compulsare (al posto di consultare), di un divisamento (al posto di proposito) e di un satisfare (al posto di soddisfare). Questi sono solo alcuni dei termini presi in prestito dal vocabolario italiano. Abbiamo poi i termini che non trovano spazio né su quello italiano, né altrove, ad esempio: attenzionare, atti prodromici (da intendere atti iniziali). Non possiamo privare il burocrate di redigere un documento se non apertis verbis (a chiare lettere), dove potremmo trovare erga omnes (nei confronti di tutti) nel caso in cui si parlasse di contratti collettivi, oppure de cuius riferendoci al defunto titolare del patrimonio ereditario, e di far uso ad abundantiam anche di termini latini che non trovano spazio, anch’essi, in nessun vocabolario, come busillis, che pur inesistente “significa” intoppo, difficoltà!