Energia per un piatto di lenticchie

PALERMO – Nei giorni in cui Eni e Shell promettono grandi estrazioni dal Canale di Sicilia in termini di gas e greggio, cominciano anche i primi dubbi sull’effettiva validità di una attività spasmodica delle compagnie petrolifere, che trivellano il mare e la terraferma lasciando appena qualche spicciolo di mancia alle casse regionali. La Sicilia infatti intasca una miseria in royalties rispetto altre regioni come la Basilicata e l’Emilia Romagna, ed infatti sono diversi colossi dell’energia – Edison, Shell, Eni – che stanno banchettando sul suolo siciliano con enormi rischi ambientali visto che le ricerche, in mare o in terraferma, costano molto in termini di sostenibilità. Dopo le cave e l’acqua minerale, l’ennesimo furto ai siciliani passa dall’oro nero e gas.
 
Quando la terra non basta c’è sempre il mare. Con questo motto i petrolieri, che da anni trivellano l’Isola e il circondario, continuano a perforare, minacciando le bellezze naturalistiche, dallo Ionio al Canale di Sicilia. A fine aprile l’annuncio dell’Eni – nel corso della conferenza stampa successiva all’assemblea degli azionisti – che tramite il direttore generale della divisione Esplorazione e produzione, Claudio Descalzi, ha precisato come siano stati scoperti parecchi miliardi di metri cubi di gas nel Canale di Sicilia. Lunedì scorso è invece stata la volta della Shell che sul Corriere Economia, tramite Marco Brun, presidente e amministratore delegato, ha dichiarato come nel Canale di Sicilia ci sia un autentico “tesoro petrolifero”. Una vera e propria manna dal mare che non costa quasi nulla.
Così, proprio nei pressi delle coste siciliane si continua a giocare un altro atto di una lunghissima partita che mette insieme i soliti noti del petrolio – Eni e Shell in prima linea – gli ambientalisti e i politici siciliani. Perché la ricerca costa tanto in termini ambientali e soprattutto rende pochissimo in termini economici alla Regione.
Attualmente nell’Isola ci sono 21 titoli minerari – 6 permessi di ricerca, 14 concessioni di coltivazione (nel dettaglio ci sono 13 titoli produttivi a gas e 5 a olio) e 1 permesso di ricerca di risorse geotermiche – e altre 11 istanze sono state presentate per il conferimento di nuovi titoli minerari, senza contare i permessi di ricerca nel mare antistante le coste isolane che sono almeno 12.
Ma al problema della Sicilia-groviera si associa anche la pochezza delle royalties incassate dalle casse regionali. Altrove si agisce diversamente, ma nell’Isola il sistema delle concessioni per gli idrocarburi liquidi o gassosi sembra seguire le medesime modalità di altre settori chiave come le sorgenti di acqua minerale e le cave; cioè realtà che sembrano inneggiare esclusivamente all’invasione delle imprese che in Sicilia vengono a cavare le ricchezze naturali per lasciare qualche spicciolo di mancia. Secondo i dati comunicati dalla Regione al ministero dello Sviluppo Economico – dipartimento per l’energia direzione generale per le risorse minerarie ed energetiche – aggiornati al 12 aprile del 2010, la Sicilia ha prodotto nel 2009 qualcosa come 325.180.295 Smc di gas e 556.084.000 Kg di olio greggio, che sono pari rispettivamente al 3,6% della produzione nazionale di gas (totale di 9.070.428 migliaia di Smc) e al 10,65% della produzione nazionale di greggio (totale di 5.219.752 tonnellate).
Il gettito delle royalties è interamente versato alla Regione Siciliana dalla Eni Mediterranea Idrocarburi per una cifra pari a 420.099,82 euro. Un ammontare che ha il gusto amaro dell’elemosina se confrontato con quanto ricavano altre regioni a partire dalla Basilicata (3.155.531.469 Kg di produzione di olio greggio e 913.990.141 di Smc) che nel 2009 ha ricevuto qualcosa come 114.334.043,07 euro, sebbene i dati risalgano alla data del 30 giugno 2009, in quanto ulteriori proventi sono attesi dalla vendita delle aliquote di gas dovute alla Regione Basilicata al mercato regolamentato delle capacità e del gas. Il confronto si fa impietoso se paragonato con la produzione dell’Emilia Romagna che, pur essendo decisamente inferiore al contributo isolano, 28.869.969 kg di produzione di olio greggio e 157.829.126 Smc di gas, riesce ad intascarsi qualcosa come 13.895.143,19 euro.
Insomma, facendo due conti appare incomprensibile che una regione come l’Emilia produca il 19% di greggio rispetto il totale siciliano, ma intaschi il 33 volte di più.
L’autonomia si paga sempre a caro prezzo, in quanto in virtù dello statuto speciale della regione la competenza normativa e amministrativa sulla terraferma è completamente autonoma, così l’Isola intasca solo 400 mila euro di royalties per la produzione, mentre per tutte le concessioni (quindi permessi di ricerca e concessione di coltivazione di miniere e cave, idrocarburi liquidi e gassosi sulla terraferma e sul mare adiacente) arriva a poco più di un milione di euro.
Eni, Shell, Edison e tutte le altre ringraziano sentitamente.
 


Legambiente: “Purtroppo la Lousiana non è lontana”
 
PALERMO – Ecco le zone d’elezione per le trivelle siciliane: cinque titoli produttivi ad olio (Gela, Giaurone, Irminio, S. Anna e Ragusa) e 13 titoli produttivi a gas (Bronte-S.Nicola, Case Schillaci, Comiso II, Fiumetto, Gagliano, Gela, Giaurone, Irminio, Lippone-Mazara del Vallo, Ragusa, Rocca Cavallo, S. Anna, Sampieri) e 6 permessi di ricerca. “L’attività di ricerca – ha spiegato Enzo Parisi di Legambiente Sicilia – risulta essere altamente invasiva per il territorio marino, e non è detto che la Louisiana sia così lontana”.
Per trivellare nel mare, ed altrove, le compagnie petrolifere hanno bisogno di “speciali fluidi e fanghi perforanti – precisa il dossier Trivellazioni Petrolio Off-Shore realizzato da Francesco Ferrante del Pd –  per portare in superficie i detriti perforati (cutting). Questi fanghi sono tossici, difficili da smaltire e lasciano tracce di cadmio, cromo, bario, arsenico, mercurio, piombo, zinco e rame”. Non solo. “In Basilicata – prosegue Parisi – hanno saputo contrattare con le imprese e c’è maggiore regolazione dell’attività estrattiva”.