Ci ha provato Tremonti, anche allora ministro dell’Economia, con la circolare n. 1 del 2003, la quale ha stabilito che sul ritardo nei pagamenti si applicasse l’interesse legale (in atto del 1%) e un ulteriore interesse di mora dell’8%.
Il complessivo interesse sarebbe addirittura molto favorevole al fornitore che infatti lo applica spesso ricavandone un utile, in quanto il costo del danaro è inferiore. Ma altre volte il fornitore non è in condizione di applicare tale interesse, perché l’ente pubblico minaccia di non rinnovare le forniture: un ricatto che oltre al danno causa la beffa.
C’è da dire che l’interesse relativo al ritardo dei pagamenti, per i bilanci delle amministrazioni pubbliche, costituisce un onere addizionale non prevedibile perchè non è previsto che le forniture si paghino in ritardo. Esso causa alla fine di ogni anno debiti supplementari che poi le stesse pubbliche amministrazioni fanno fatica a conguagliare. La questione è grave anche perchè inspiegabilmente l’Autorità garante della concorrenza e del mercato non ha riservato alla materia sufficiente attenzione, dato che la tempestività dei pagamenti rientra nei principi di una corretta concorrenza.
In questo quadro, la Commissione europea sta preparando una direttiva che prevede “il pagamento entro 30 giorni delle fatture relative a transazioni commerciali aventi per oggetto la fornitura di beni o la prestazione di servizi”. Oltre tale termine scatterà un diritto al risarcimento pari al 5 per cento dell’importo dovuto, oltre agli interessi di mora e al rimborso dei costi di recupero.
Serviranno queste sanzioni a fare ordine nel sistema dei pagamenti pubblici? Non lo sappiamo, perché i dirigenti non sono responsabilizzati e non pagano di tasca propria quando danneggiano le casse pubbliche. Sono sporadici i casi nei quali la Corte dei Conti chiede loro ragione per danno all’erario.
Ricordiamo infine che in Sicilia è vigente la L.R. 6/2009 che all’articolo 14 prevede la possibilità di cedere i crediti alle banche. Secondo la stessa, le imprese potrebbero cedere i loro crediti agli istituti di credito e con essi anche il diritto di applicare gli interessi di mora prima indicati. Ma le banche che operano in Sicilia sono “disattente” e di fatto hanno reso ininfluente l’obiettivo del legislatore. Un dialogo fra sordi che è dannoso per l’economia siciliana.