Mare, nel blu sbiadito di blu

PALERMO – Tanta attesa a causa di un inverno lungamente inoltrato, ma finalmente per natanti adulti e piccini pare sia alle porte la cosiddetta “bella stagione”. Nell’ultimo rapporto “Guidelines on the Use of Market-based Instruments to Address the Problem of Marine Litter” del Institute for European Environmental Policy, presentato lo scorso 18 maggio, si propone un’analisi accurata delle azioni intraprese e possibili sviluppi di alcune idee ancora in cantiere da parte di governi nazionali, autorità territoriali e industrie al fine di circoscrivere i problemi indotti dallo scarico in mare dei rifiuti. Una serie di iniziative particolarmente importanti come gli incentivi per i pescatori che recuperano rifiuti dal mare oppure l’obbligo per i locali costieri di utilizzare solo bicchieri e piatti in materiale riciclabile e biodegradabile.

Non possiamo dire che in Italia, e in particolar modo sulle coste siciliane, si sia già giunti a questo grado di consapevolezza. Attualmente il 96,2% delle coste italiane appare balneabile, secondo i dati raccolti da Legambiente.
La Sicilia si trova immediatamente dietro Toscana e Marche, soprattutto in virtù della sua lunghissima costa, ma è ancora lontana da performance di livello internazionale. L’isola possiede 1483 km di costa, secondo il rapporto sulle acque di balneazione del ministero della Salute, di cui 938 km controllati e 9 Km inquinati. a fronte dei 601 km della Toscana, appena 0,6 km inquinati, 131 Km per l’Emilia, 0,5 km inquinati, e 158 km del Veneto, solo 1,9 Km inquinati.
L’ultimo rapporto Arpa, aggiornato al 2007, testimonia una situazione non eccessivamente rosea nell’isola, visto che su 809 siti di monitoraggio in acqua marina, ne esistono 27, di cui 8 permanenti, 10 temporanei e 9 per assenza di monitoraggio sufficiente, pari al 3,4% del totale, che non sono ritenuti idonei alla balneazione. Una cifra che preoccupa in rapporto all’1,1% dell’Emilia-Romagna o all’1,8% delle Marche o ancora all’1,4% della Toscana. Ma perché e come si inquina la preziosissima costa isolana? A monte esiste un problema di depurazione delle acque reflue, che, secondo il rapporto “Ecosistema Urbano 2009”, piazza Catania e Palermo tra gli ultimi cinque posti nazionali per capoluogo di provincia. “La depurazione delle acque reflue – si legge nel rapporto –  copre ormai la quasi totalità degli abitanti pressoché in tutte le città europee monitorate. In ritardo le città del sud, soprattutto Palermo e Catania dove più di due terzi della popolazione non sono ancora serviti da un impianto di depurazione”. Anche in una terra non proprio a vocazione industriale come la Sicilia l’industria manifatturiera incide per il 26% nell’inquinamento dei comuni litoranei, mentre la popolazione per il 48%. Ai malfunzionamenti dei depuratori e alle negligenze industriali si aggiunge il ciclo dei rifiuti e del cemento abusivo in mano alla malavita, un’infrazione ogni 2 km di costa secondo Legambiente, con la Sicilia che ha ceduto il suo primato alla Campania, spostandosi al terzo posto nazionale con 2039 infrazioni complessive accertate, tra scarichi illegali a mare e cemento abusivo. Tra le illegalità in crescita le questioni che riguardano i depuratori e gli scarichi illegali a mare, +30%, mentre si abbassano tutte le altre di valori abbastanza consistenti.

Ma in crisi restano pure i cosiddetti depuratori naturali, cioè gli stagni e le zone umide in generale, che avevano, tra le altre cose, anche la funzione di “purificare” le acque dei fiumi che poi finiscono a mare. In Sicilia e Sardegna le aree umide che sopravvivono “sono minacciate – commentano dal Wwf – da scarichi industriali, urbanizzazione e caccia”. Proprio l’industrializzazione selvaggia preoccupa non poco. “Da primato è la concentrazione di impianti – si legge nel rapporto Legambiente – sul versante orientale della Sicilia: l’area industriale di Priolo, che si estende su 30 chilometri di costa tra Augusta e Siracusa. Ammoniaca, cloro, acido fluoridrico, idrogeno solforato, ma soprattutto mercurio prodotti dall’ex Enichem e dalla Montedison, hanno per molti anni contaminato la falda in profondità e le aree marine intorno agli stabilimenti”. Tuttavia secondo il calcolo delle serie storiche 2004-06 per le spese ambientali sostenuti dalle Regioni ed effettuato dall’Istat, sono proprio le isole a spendere più in termine procapite 183 euro, rispetto al 44 euro del nord-ovest.