Spesa sanità, come ridurla di 300 euro a testa

PALERMO – In futuro il meccanismo di finanziamento della Sanità regionale dovrà tenere conto delle caratteristiche demografiche e assegnare una spesa standard ad ogni fascia di età della popolazione; E pur applicando questo modello, che permetterebbe alle regioni di raggiungere lo standard di spesa sanitaria, oltre la metà delle Regioni italiane non riuscirebbe a coprire autonomamente la propria spesa pubblica, con un fabbisogno di perequazione interregionale che arriverebbe a circa 24 miliardi di euro nel 2050.
Questo è il significativo risultato dello studio presentato da Fabio Pammolli, presidente Cerm (Centro di ricerche competitività, regolazione, mercati), nell’ambito del convegno “Sostenibilità del sistema sanitario pubblico: quali prospettive?” che si è svolto a Palermo, lo scorso 14 giugno, con il patrocinio di Cittadinanzattiva e della Fondazione Lilly.
Sono intervenuti, inoltre, Fulvio Mirano, direttore dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari, Lucia Borsellino, direttore generale unità speciale servizi socio-sanitari, Paolo Pisanti, direzione generale programmazione sanitaria, Salvatore Scondotto, dirigente Servizio osservatorio epistemologico e Mario Comaschi, direttore dipartimento Emergenza Accettazione, A.o.u. San Martino di Genova.
Secondo il modello proposto dal Cerm  l’età del cittadino stabilirebbe il suo costo per il Ssn, che dovrebbe essere uguale in tutto il paese. A ciò si affiancherebbe un monitoraggio capillare della correttezza della spesa sanitaria da parte delle autorità competenti.  Il nuovo sistema permetterebbe alle Regioni di raggiungere uno standard sia di spesa che di efficienza del servizio: una qualità che determinerebbe risparmio. Un’ipotesi possibile purchè  cambino i livelli di crescita economica e di sviluppo in Italia. In caso contrario la maggior parte delle Regioni continuerebbe a registrare un divario tra risorse proprie e fabbisogno di spesa.
Le Regioni che non riusciranno a coprire con gettiti propri la spesa sanitaria, dovranno continuare ad essere sostenute dalle Regioni più ricche. La Sicilia ad esempio, se applicasse il modello del Cerm agli attuali standard di sviluppo, si ritroverebbe nel 2015 con una differenza di circa 3 miliardi di euro, tendente a circa 5 miliardi di euro nel 2050; ciò dipenderebbe da due fattori concomitanti: l’invecchiamento progressivo della popolazione e il divario di crescita del Pil regionale.
Per Fabio Pammolli “l’efficienza non è sufficiente a risolvere i problemi di deficit regionali. ènecessario applicare in modo rapido e capillare la Legge di Bilancio, altrimenti il federalismo non è realizzabile”. Anche per Fulvio Moirano, bisogna sviluppare un Sistema Sanitario che sia orientato al cittadino. “Per poter funzionare un sistema di valutazione deve tener conto di diversi aspetti: l’efficacia, l’efficienza e soprattutto l’empowerment  del cittadino” – Afferma Moirano, che chiarisce:”Quest’ultimo aspetto comporta l’umanizzazione delle cure, il coinvolgimento e la partecipazione dei cittadini e non ultima la soddisfazione degli utenti”.
Le conclusioni sono state affidate a Massimo Russo, assessore alla Salute della Regione Siciliana, che, attraverso un profilo prettamente politico, rintraccia una chiave risolutiva nel senso di responsabilità necessario tra sistema e cittadini: “Abbiamo messo in atto politiche sanitarie a favore del sistema globale. Il nostro messaggio è che siamo in grado di amministrare la sanità con le poche risorse che ci vengono date, senza andare a Roma con il cappello in mano. Questa politica ci permetterà di ridurre le tasse e migliorare il sistema e i cittadini lo capiranno. Il passo in avanti che determinerà il cambiamento sarà quello di permettere al cittadino di usufruire del sistema sanitario senza più essere oggetto di ricatti, senza più bisogno di ricorrere a clientelismi ma di avere libero accesso a servizi di qualità. Anche noi abbiamo bisogno di aiuto da parte dei cittadini: le loro segnalazioni ci servono per conoscere casi di inefficienza del servizio”.