Profughi ambientali in aumento causati dai cambiamenti climatici

ROMA – I cambiamenti climatici nel mondo diventano sempre più determinanti e coinvolgenti in rapporto ai flussi umani. Giovedì scorso è stata la giornata mondiale sulla desertificazione.
Ebbene, secondo l’ultimo rapporto Legambiente “Ecoprofughi 2010” sono almeno 50 milioni attualmente le persone costrette all’esodo forzato a causa dei cambiamenti climatici e si quadruplicheranno entro il 2050. Un dramma ambientale e sociale che sembra divenire sempre più una concreta realtà giorno dopo giorno. Quindi non saranno più le guerre a determinare e circoscrivere le aree dove si movimenteranno i profughi dei prossimi decenni, ma gli eventi meteorologici estremi.
 
“Solo tra il 2005 e il 2007 – si legge in un comunicato di Legambiente in occasione della presentazione del Rapporto – l’agenzia dell’Onu ha risposto a una media annua di 276 emergenze in 92 Paesi, oltre la metà delle quali causate da calamità, il 30 % da conflitti e il 19 % da emergenze sanitarie. Secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) e l’International Organization for Migration (Iom) entro il 2050 si raggiungeranno, infatti, i 200/250 milioni di persone coinvolte (una ogni 45 nel mondo), con una media di 6 milioni di uomini e donne costretti ogni anno a lasciare i propri territori”.
Non si tratta di eventi imprevisti come un uragano o uno tsunami, ma anche di processi assai più lenti e non per questo meno devastanti in rapporto alla sopravvivenza umana. Parliamo della desertificazione, dell’innalzamento dei mari e dell’erosione delle coste. “Nonostante l’emergenza umanitaria ormai evidente a livello internazionale, dal punto di vista giuridico i profughi ambientali non esistono – ha spiegato Maurizio Gubbiotti, coordinatore della segreteria nazionale di Legambiente. La soluzione del problema dei nuovi migranti necessariamente passa per il riconoscimento del loro diritto a godere del sistema di protezione internazionale accordato a profughi e richiedenti asilo. Ma oltre all’immediata necessità di uno status giuridico per loro, la vera urgenza consiste nel comprendere che l’emergenza va affrontata a partire da un serio impegno collettivo nella lotta ai cambiamenti climatici”.
Sono tematiche di grande attinenza globale, ma che nello specifico riguardano anche la penisola e più strettamente la Sicilia. Secondo il rapporto dell’associazione del Cigno, negli ultimi 20 anni in Italia si è triplicato l’inaridimento del suolo e si stima che il 27 % del territorio nazionale rischia di trasformarsi in deserto. Più in dettaglio le regioni a rischio sono quelle meridionali, dove l’avanzata del fenomeno rappresenta, già da un decennio, una vera e propria emergenza ambientale. In cima alla lista troviamo la Puglia con il 60 % della sua superficie, seguita da Basilicata (54 %), Sicilia (47 %) e Sardegna (31 %). Secondo l’ultimo rapporto Enea in Sicilia il rischio si concentra principalmente nelle zone interne della provincia di Caltanissetta, Enna e Catania e lungo la costa agrigentina. Inoltre, secondo l’Enea, in un rapporto presentato lo scorso marzo, il 20 % del territorio siciliano è classificato come semi-arido.
 


Approfondimenti e studi organizzati dalla Regione
 
PALERMO – Il Servizio 4 dell’assessorato regionale al Territorio e Ambiente attuerà alcune attività tra le quali sono previsti: studi ed approfondimenti su aree particolarmente a rischio, per l’individuazione delle principali cause responsabili del fenomeno della desertificazione. Inoltre, sono state realizzate altre iniziative tendenti a “Informare e Sensibilizzare” il settore studentesco e quello dei professionisti, con i progetti “Sos Desertificazione”, rivolto alla sensibilizzazione degli studenti ai temi della desertificazione, che ha visto coinvolti a livello regionale cinque Istituti Superiori, e la “Giornata di studio” sul “Piano per l’assetto idrogeologico (Pai) della Regione Sicilia e degrado del suolo e rischio desertificazione”, rivolta all’ordine dei dottori Agronomi e dei dottori Forestali della provincia di Messina. Sarà anche realizzata una cartografia con una perimetrazione più dettagliata delle aree sensibili, (scala 1:25.000); rappresentazione dei principali indicatori a carattere regionale della metodologia Esas.