C’è, dunque, la soluzione per far lavorare i precari e contemporaneamente togliere l’ingessatura al bilancio regionale. Sembra di vivere nel Terzo mondo quando sentiamo assessori regionali, deputati regionali e altri soggetti che si preoccupano di come fare per mantenere in piedi un impianto clientelare di raccomandati e per ciò stesso privilegiati, senza preoccuparsi minimamente degli oltre centomila siciliani che sono disoccupati, ma non sono stati raccomandati e privilegiati.
Qui non si tratta di mettere gli uni contro gli altri, ma di procedere alla stesura di un progetto che dia soddisfazione ai siciliani privi di lavoro o che si trovano in condizione di precarietà, naturalmente in una rigorosa graduatoria di merito che preveda in cima coloro che possiedono competenze e saperi, oltre che abbiano grande volontà di sacrificio, e gli altri che via via non hanno tali requisiti.
In questo quadro, gioca un ruolo importante la vera formazione regionale, non stupidamente formale o basata su corsi fantasma o che non dà nessuna qualificazione, ma che tenga conto dei bisogni di mercato e che venga pagata in relazione alla capacità di fornire occupati.
Non ci possiamo rassegnare a essere l’ultima regione d’Italia, né a essere considerati italiani con l’anello al naso. L’orgoglio dei siciliani deve risaltare attraverso comportamenti efficaci e densi di risultati. Ci dobbiamo misurare con le altre regioni ponendo sul campo le nostre doti di professionalità ed efficienza, in modo da competere ad armi pari. È inconcepibile, come abbiamo pubblicato, che la sola Barcellona (di Spagna) abbia avuto nel 2009 più pernottamenti dell’intera Sicilia. Un fallimento conclamato e dimostrato ad onta di tutti gli assessori al Turismo che si sono succeduti in questi ultimi 40 anni.
Le risorse europee e quelle statali non spese in questi ultimi tre anni sono più di otto miliardi. Non possiamo rassegnarci alla indolenza e alla impotenza dei responsabili che continuano a restare ai loro posti di fronte a questa conclamata insufficienza.
Non rassegnarci significa che deve scaturire un’indignazione per chi di fronte alle grandi potenzialità mette in campo delle deficienze che non fanno parte della nostra cultura