Biodiversità a rischio per colpa delle “spadare” nel Mediterraneo

PALERMO – Dopo la presentazione nei giorni scorsi del dossier “Mare Monstrum 2010”, a cura dell’Osservatorio nazionale legalità e ambiente di Legambiente, si ritorna a parlare di pesca di frodo, attività illegale appannaggio spesso della criminalità organizzata. Viene esercitata mediante l’utilizzo di reti illegali, le cosiddette “spadare”, che fanno piazza pulita nei fondali dei nostri mari raccogliendo e soffocando tartarughe, piccoli delfini, capodogli e balenottere. Ogni anno muoiono circa 300 mila esemplari di queste specie. In pericolo la biodiversità marina quindi, ma anche l’economia legale dei mercati ittici.
La pesca di frodo è un fenomeno che continua a diffondersi e che diventa sempre più difficile da arginare per le forze dell’ordine. Le spadare sono state proibite dall’Unione Europea nel 2002: in questi otto anni dovrebbero già essere state distrutte dopo la pioggia di milioni di indennità per i pescatori che ne facevano uso.
“Gli “indennizzati” – si legge nel dossier di Legambiente – hanno prima preso i soldi europei e poi continuato come nulla fosse. Una truffa imponente che non è passata inosservata in Europa. Tant’è che lo scorso ottobre è arrivata la condanna del nostro Paese da parte della Corte di giustizia europea, proprio a causa dell’ampio ricorso alle spadare”. A detta dei giudici europei “l’Italia non ha provveduto a controllare, ispezionare e sorvegliare l’esercizio della pesca. Inoltre non ha adottato “adeguati provvedimenti nei confronti dei responsabili delle infrazioni alla normativa comunitaria in materia di detenzione a bordo e di utilizzo di reti da posta derivanti, segnatamente con l’applicazione di sanzioni dissuasive”. “Come sottolineano gli inquirenti – continua il Mare Monstrum -, in questo settore lavorano a tempo pieno, non improvvisati pescatori, ma vere e proprie organizzazioni criminali armate di tutto punto per rastrellare ogni forma di vita presente nei mari. Si fa tabula rasa, con rischio di desertificare i fondali, azzerare gli stock ittici”.
Il business annuo della pesca legale, secondo le stime di Confesercenti, ammonta a circa due miliardi euro l’anno. Impossibile stimare l’incasso del mercato illegale, che, assicurano gli inquirenti, non sfigura affatto rispetto a quello legale.
La criminalità organizzata svolge un ruolo di prim’ordine nel settore: “controlla intere flottiglie, inquina i mercati, impone regole, investe e ricicla – avverte Legambiente -. Non sorprende se Calabria, Campania, Sicilia e Puglia sono tradizionalmente le regioni dove si fa più uso di spadare e di altri strumenti illegali. Lo scorso anno le marinerie maggiormente coinvolte nelle operazioni di polizia sono quelle di Reggio Calabria, Catania, Roma e Napoli. In totale, in queste regioni sono state sequestrate nell’ultimo anno più di 133 mila metri di reti spadare e quasi 111 mila di ferrettare”.
Le ferrettare sono reti che possono essere utilizzate solo a determinate condizioni: in primo luogo non possono catturare pescespada, non devono superare i 2 chilometri e mezzo di lunghezza, la larghezza massima della maglia deve essere di 180 millimetri e il loro impiego consentito fino a 10 miglia dalla costa. Ma la verità è un’altra: “queste reti, seppure legali, sono utilizzate sempre più spesso in modo illegale (tant’è che nel 2009 si continua a registrare la crescita di sequestri di questo genere di reti, soprattutto se messi a confronto con i sequestri delle spadare), aggirando i limiti e proprio per catturare pescespada”.