PALERMO – “In nome di una presunta indipendenza energetica – è l’allarme di Legambiente – stanno aumentando sempre di più le istanze e i permessi di ricerca di greggio nel mare e sul territorio italiano”. Nelle scorse settimane, infatti, sono cominciate le ricerche, da parte di alcune multinazionali del greggio, per recuperare le ben 129 milioni di tonnellate di petrolio disponibili nei mari italiani, secondo i calcoli del ministero dello Sviluppo economico (conteggiate come la somma di quelle certe, più il 50% delle probabili e il 20% delle possibili). Qualora si riuscisse ad individuare tutto il petrolio stimato, la quantità estratta non basterebbe a garantire un’autonomia di appena 20 mesi in più, in base ai consumi attuali. “Ma nel frattempo – scrive l’associazione nel dossier “Texas Italia” – avremmo messo una grave ipoteca sullo sviluppo e la tutela di ampie aree del mare e del territorio italiano”.
Un “autentico tesoro”
Le riserve disponibili sono state localizzate in alcune aree della Penisola: nel mare Adriatico centro-meridionale, nello Ionio e nel Canale di Sicilia. La Shell ha inviato nei giorni scorsi una nave al fine di eseguire studi per scoprire nei mari italiani quello che definisce “un autentico tesoro”, che potrebbe fare dell’Italia “il Paese con più idrocarburi dell’Europa continentale”. “Peccato – si legge nel dossier di Legambiente – che anche in questo caso le attività estrattive mal si combinerebbero con l’Area marina protetta delle Isole Egadi e con un’economia basata prevalentemente su turismo e pesca”.
I numeri
Secondo le ultime cifre fornite dall’Unione Petrolifera, nel 2008 il consumo di petrolio è stato di 79,3 milioni di tonnellate equivalenti petrolio (tep), ovvero il 41% del totale dei consumi di energia primaria in Italia. Il petrolio quindi perde quota rispetto al gas e al carbone in tutti gli usi termoelettrici e di produzione di calore, mentre rimane fortemente legato ai consumi per autotrazione. Nell’ultimo decennio la quota dei prodotti petroliferi è scesa di 12 punti percentuali (dal 53% al 41%) dei consumi di energia primaria, mentre la quota del gas naturale è salita di 7 punti (dal 29% al 36%).
L’oro nero d’Italia
Lo scorso anno in Italia sono state estratte 4,5 milioni di tonnellate di petrolio, corrispondenti al 6% del consumo totale nazionale di greggio. I giacimenti si trovano a terra per circa 4 milioni di tonnellate, e in mare per la rimanenza (0,5). A terra le regioni in cui si estrae il petrolio sono la Basilicata (dalla Val d’Agri arriva il 70% del totale nazionale di petrolio estratto), l’Emilia Romagna, il Lazio, la Lombardia, il Molise, il Piemonte e la Sicilia. Le zone marine coinvolte sono il mar Adriatico centrale (tra Marche e Abruzzo) e il Mar Mediterraneo a sud della Sicilia (di fronte Gela). La Sicilia fa parte della Zona C che comprende anche una parte del Canale e l’area del Mediterraneo intorno a Lampedusa. Nel mare di fronte a Gela sono ben quattro le piattaforme che si dedicano all’attività estrattiva, tutte costruite tra il 1982 e il 1988: la Gela1, la Perla, la Prezioso e la Vega A.
Permessi ricerca. Il 90% delle riserve si trova al Sud Italia
PALERMO – “Ad oggi -scrive il ‘Texas Italia” – sono stati rilasciati 95 permessi di ricerca di idrocarburi (olio e/o gas) tra terra e mare per un totale di 36.454 kmq: si tratta di 24 permessi di ricerca rilasciati a mare, per poco più di 11 mila kmq, e di 71 a terra, per oltre 25 mila kmq”. Numeri importanti per capire quali sono le aree in Italia dove sono indirizzate le ricerche per l’estrazione petrolifera e quindi potenzialmente più coinvolte.
Se si confrontano i dati sui permessi di ricerca con le informazioni sulle riserve disponibili, si può notare come le ricerche si concentreranno maggiormente nel mare intorno alla Sicilia e nelle zone dell’Adriatico centro meridionale. “La nuova corsa all’oro nero – afferma Legambiente – si giocherà soprattutto nelle regioni del Sud Italia dove le stime localizzano quasi il 90% delle riserve di petrolio italiane. La ricerca degli idrocarburi è destinata ad aumentare nei prossimi anni: dal 2008 ad oggi sono state presentate 65 istanze per permessi di ricerca a terra e in mare per un’area di oltre 30 mila kmq: 41 a mare (per oltre 23 mila kmq) e 24 a terra (pari a circa 7 mila kmq)”.
Il caso. BP comincerà ricerche a 100 km da Lampedusa
ROMA – Clamorosa rivelazione pubblicata sul Financial Times di sabato scorso: la British Petroleum comincerà le attività di ricerca al largo della Libia nelle prossime settimane. Un accordo, quello tra Tripoli e la multinazionale, che vale 900 milioni di dollari. L’intesa è stata firmata nel 2007, prima del disastro nel Golfo del Messico che ha evidenziato le enormi responsabilità della multinazionale nel non saper riparare ai propri errori. Le trivellazioni saranno a 500 km di distanza dalla Sicilia, 100 da Lampedusa, in territorio libico nel Golfo della Sirte. La profondità stimata dei pozzi è di 1.700 metri: quasi duecento metri più in basso rispetto alla piattaforma dell’incidente, la Deepwater Horizon.
Se la fuoriuscita di greggio avvenuta al largo della Louisiana fosse accaduta nel Mediterraneo, avrebbe messo a repentaglio la vita di 130 milioni di persone che vivono sulle sponde del “mare nostrum” senza parlare del pericolo per le 8.500 specie animali e vegetali, che fanno del mar Mediterraneo uno scrigno di biodiversità. “Il governo italiano deve intervenire con urgenza e promuovere, a livello internazionale, la richiesta di una moratoria per lo stop a nuove trivellazioni nel Mediterraneo”, afferma Ermete Realacci (Pd) che sta preparando un’interrogazione parlamentare. “Il Mediterraneo non è un mare qualsiasi – dice Fulco Pratesi, presidente onorario del Wwf – pur rappresentando solo l’1% della superficie dei mari del mondo, presenta un concentrato di biodiversità, di ambienti e di paesaggi introvabile altrove”.
Intanto anche l’amministrazione comunale di Lampedusa esprime preoccupazione per le trivellazioni che possono avere conseguenze sul difficilissimo e fragile ecosistema del Mediterraneo.