Molestie: reato non configurabile attraverso la posta elettronica

CATANIA – L’articolo 660 del nostro Codice Penale punisce, con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a 516 euro, chiunque, per petulanza o per altro biasimevole motivo, rechi a taluno molestia o disturbo.

Tale norma, che tutela la quiete individuale per il buon ordine della civile convivenza, mira ad evitare che un soggetto sia costretto a percepire segnali o messaggi che possano ledere la sua libertà e tranquillità psichica. Per integrare la contravvenzione in oggetto la condotta dovrà essere realizzata “in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono”, laddove il telefono costituisce uno strumento di comunicazione invasiva alla quale il destinatario non può sottrarsi.
Con specifico riferimento alla modalità di comunicazione, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto punibili – in quanto utili a integrare l’uso del mezzo telefonico – le ripetute chiamate “mute” (Cass. n.8068/2010) e l’invio di “short messages system” (sms) attraverso sistemi telefonici mobili o fissi (Cass. n.28680/2004). Il destinatario di tali messaggi è, infatti, costretto a percepirli prima di poterne individuare il mittente, che in tal modo realizza l’obiettivo di recare disturbo al destinatario.
Di recente, la Corte di Cassazione si è pronunciata (Cass. n.24510/2010) negando la configurabilità della contravvenzione in esame qualora il fatto sia commesso attraverso l’invio di corrispondenza elettronica che provochi fastidio o turbamento. Gli ermellini hanno, infatti, annullato la condanna resa dai giudici di merito ritenendo non condivisisibile l’interpretazione estensiva dell’articolo 660 c.p., atteso che l’e-mail utilizza la rete telefonica e la rete cellulare delle bande di frequenza ma non il telefono.
Inoltre, la modalità di comunicazione effettuata attraverso le missive elettroniche è asincrona e del tutto assimilabile alla corrispondenza cartacea, che non comporta nessuna immediata interazione tra il mittente e il destinatario né alcuna intrusione diretta del primo nella sfera di attività del secondo.

I giudici di legittimità, pertanto, in ossequio al principio di stretta legalità, che impone all’interprete di  non applicare la norma penale incriminatrice oltre i suoi limiti, hanno sancito la non configurabilità del reato di cui all’art.660 c.p. nell’invio di un messaggio di posta elettronica contenente insulti. In tali ipotesi, qualora ne ricorrano i presupposti sostanziali e processuali, l’autore del messaggio potrà essere ritenuto responsabile di altre figure di reato (ingiuria, diffamazione, atti persecutori, etc). 

 
Avv. Cristina Calì
Collegio dei professionisti di Veroconsumo