PALERMO – È dal 1994 che si parla di società da mettere in liquidazione. Ma evidentemente la Regione Sicilia non è proprio in grado di eliminare gli sprechi, è più forte di lei. E così la Resais, esempio di tipica società-carrozzone che appesantisce il già asfittico bilancio del governo di Palazzo d’Orleans, a distanza di trent’anni dalla sua nascita continua a rimanere in piedi. E se le cose non cambieranno l’impressione è che questa storia andrà avanti sino al 2020.
Questa la fine naturale della Resais, organismo letteralmente inventato dalla Regione per “parcheggiare” i dipendenti delle aziende regionali in crisi. La Resais li prende in carico: uomini e donne passano lì gli anni, alcuni inseriti nella pubblica amministrazione, altri non si sa dove e non si sa a fare che cosa.
In poche parole questa struttura è nata per collocare all’interno degli uffici della Regione tutto quel personale che è stato licenziato da società controllate in parte o totalmente dal governo siciliano. Si può parlare davvero di unico esempio in Italia di veri sprechi e di sperequazione di trattamento tra lavoratori. Infatti non si capisce secondo quali presupposti un lavoratore, sol perché ha avuto la fortuna di entrare a far parte di una società controllata anche in piccola parte dalla Regione, debba poi essere salvato in caso di fallimento dell’azienda per cui lavora.
Oggi la Resais resta un vero esempio di come si possono allegramente sprecare le risorse pubbliche. Secondo quanto sostenuto dalla Ragioneria della Resais, oggi la società conta complessivamente 770 unità di personale: 450 sono attualmente in servizio mentre altri 320 in prepensionamento. I livelli di inquadramento sono quelli della pubblica amministrazione: si va dai più bassi sino a quelli di dirigente. Mediamente ogni lavoratore costa alla Regione intorno ai 4 mila euro lordi al mese, considerando quindi tredicesime, tfr e contributi, e moltiplicando per i 770 ancora oggi in servizio, si raggiunge la cifra di circa 40 milioni di euro. Tutti soldi a carico della Regione e quindi dei contribuenti siciliani, per intenderci.
Una vera beffa per chi magari ha già provato sulla sua pelle la disperazione del licenziamento e che è stato costretto ad arrangiarsi tra mille difficoltà. Poi però si ritrova costretto a pagare le tasse sapendo che parte di quei soldi finiranno proprio per foraggiare la Resais ed i suoi lavoratori.
Questa società è sorretta da un amministratore unico, Enrico Caratozzolo, il cui compenso annuo si aggira sui 30 mila euro. Cifra rimasta invariata dal 1982. Ma gli sfasci del passato con difficoltà potranno essere smaltiti: “Attualmente – dice Francesco Sireci, dirigente della Resais e quindi responsabile della società – siamo in via di smaltimento del personale”.
Effettivamente si è passati dal numero record di 3 mila e 600 dipendenti in carico, che risultavano a metà degli anni ’90, agli attuali 770. “Ma per il naturale esaurimento della società – aggiunge Sireci – si dovrà attendere il 2020. Il dipendente più giovane ha 46 anni e quindi in prospettiva gli mancherebbero ancora una quindicina di anni almeno prima di arrivare alla pensione”.
Una vita dunque passata alle dipendenze di mamma Regione, senza alcun diritto. Infatti si tratta di lavoratori che sono transitati da vecchie strutture in dismissione e quindi, come tali, senza uno straccio di professionalità nel campo della pubblica amministrazione e soprattutto senza passare da alcun concorso pubblico.
La Resais in pratica è sorta dalle ceneri di miniere, cementifici e anche vecchie scatole societarie gonfie di personale direttamente collegate alla Regione. Un apparato sorto negli anni ’60, sul modello delle partecipazioni statali, e per lo più destinato a fare clientela in una Sicilia affamata di lavoro, soprattutto quello facile e regalato. Da sempre appetiti da queste parti gli impieghi nella pubblica amministrazione. E quale miglior regalo si può fare ad un siciliano da parte di un politico in cerca di consensi?