PALERMO – È tutt’altro che esaltante, dal punto di vista delle performance congiunturali, la situazione economica dei territori del Sud. La Sicilia, in questo contesto, conferma la debolezza dei suoi macro comparti di attività economica. Nihil sub sole novi.
Ad attestarlo è il rapporto annuale 2008-2009 “Pil Valore Aggiunto e Occupazione nel Mezzogiorno” elaborato dall’Osservatorio Regionale Banche-Imprese di Economia e Finanza in collaborazione con l’Istituto Tagliacarne.
La crisi generale che ha investito il Paese ha colpito indiscriminatamente tutto il Mezzogiorno in modo più o meno omogeneo senza eccezione alcuna. Analizzando il dato sul PIL, le regioni caratterizzate dalla variazione complessiva più negativa sono l’Abruzzo e la Basilicata (-6,0%) seguite dalla Puglia (-5,9%) e dalla Campania (-5,6%) e dalla Sicilia (-5,4%). Nel complesso l’intero Mezzogiorno presenta risultati peggiori rispetto al dato nazionale (-5,5% contro -5,0%).
Dall’analisi settoriale delle stime non più del prodotto interno lordo ma del valore aggiunto (a partire dal quale si ottiene poi il Pil) emerge un quadro impietoso soprattutto per l’industria dell’isola che, dopo quella lucana e campana, ha registrato la performance negativa peggiore con un -17,4%.
Particolarmente preoccupanti sono anche i risultati del terziario. La Sicilia ha perso in questo settore più di 4 punti in un anno e detiene con la Puglia il triste primato negativo. Non consola peraltro che le altre regioni del Mezzogiorno, ad eccezione del Molise (che chiude a -1,8%), fanno peggio del Paese nel suo complesso.
Neanche sul versante delle costruzioni la situazione migliora. Il settore nel centro-sud chiude l’anno con una perdita di oltre l’8 per cento (1,4 punti peggio della media nazionale) con un deficit che viene limitato dall’andamento meno negativo dell’Abruzzo che, probabilmente grazie agli interventi post sisma, perde appena 6 decimi di punto rispetto all’anno 2008 contro, ad esempio, un -10,3% fatto segnare dalla Puglia. In Sicilia le variazioni in termini reali del valore aggiunto ai prezzi per questo settore ha segnato “solo” una riduzione di 8 punti percentuali.
Il Rapporto sancisce poi, come se non bastasse, l’aggravarsi del divario in seno alle stesse regioni del Mezzogiorno. Un Sud nel Sud. Ci sono delle situazioni che, se non proprio di eccellenza, possono essere definite comunque come esempi da prendere a riferimento. La regione economicamente più sviluppata del Sud (con un valore medio del PIL per abitante pari a 21 mila euro) continua ad essere l’Abruzzo, seguita dal Molise con 19.636 euro a persona. Nelle posizioni di coda la buona tenuta della Calabria ha consentito alla più meridionale delle regioni continentali di recuperare in diverse posizioni collocandosi davanti non solo alla Campania ma anche a Puglia e Sicilia. In buona sostanza la nostra regione, a fronte degli indiscutibili seppur lenti progressi di altre aree in questi anno di crisi, risente inesorabilmente del fardello di freni socio/ambientali incompatibili con le esigenze di sviluppo economico.
Occupazione. Le conseguenze della crisi sul tasso di disoccupazione
Il principale effetto della crisi sull’economia siciliana è l’aumento del tasso di disoccupazione che nel secondo trimestre di quest’anno è rimasto sopra il 15%, il più alto in Italia. Consola parzialmente che il dato sia in leggero calo (-0,7%) rispetto al primo trimestre: passando dal 15,8% al 15,1%. A trainare questa timidissima ripresa dell’occupazione nell’isola è il gentil sesso. In base alle tabelle Istat, nel secondo trimestre del 2010 ci sono state 25 mila occupate in più rispetto al trimestre precedente. In calo, sempre nel rapporto tra i primi due trimestri, l’occupazione tra i maschi: 8 mila sono stati i posti di lavoro persi.
Rispetto al secondo trimestre del 2009 poi il tasso di disoccupazione in Sicilia è cresciuto del l’1,3%, al di sotto di altre regioni come Basilicata, Sardegna, Campania, Piemonte ed Emilia Romagna. Preoccupa più in generale l’inattività giovanile nonostante rimangano molti, soprattutto in Sicilia, i profili lavorativi e le professionalità cercate e non trovate dalle imprese. La “ricetta” sarebbe quindi quella educativa e formativa, affinché le competenze corrispondano a quelle richieste dal mercato del lavoro. Una strategia che, si spera, verrà sposata dal neo assessore regionale della famiglia, delle politiche sociali e del lavoro.