Aspettando i morti per alluvione

MESSINA – Nei giorni scorsi il presidente nazionale di Legambiente, Vittorio Cogliati Dezza, l’ha definito “l’eterno allarme”. Parliamo del rischio idrogeologico che in lungo e in largo ha devastato l’Italia nell’ultimo anno – 44 morti e 237 milioni di euro stanziati in Italia – e una ricostruzione che fatica a definirsi tale.
A Messina, ad un anno di distanza dalla tragedia di Giampilieri, Molino, Altolia e Scaletta Zanclea, il bilancio, nonostante i fondi spesi, è ancora altalenante tra chi promette un ritorno alla normalità “lampo” e le associazioni del territorio che invece offrono dati differenti.
Il problema dell’assetto idrogeologico è sempre in cima all’agenda ambientale degli enti locali e dei vertici istituzionali del Paese. Senza prevenzione – concetto da tradursi in una adeguata pianificazione urbanistica e tutela del territorio – una realtà particolarmente soggetta al rischio come quella italiana (più di cinquemila i comuni a rischio), e quella siciliana in particolare, (272 su 390 i comuni a rischio), continuerà a restare in bilico tra normalità e tragedia.
Dopo il dramma di Messina, in Sicilia sono stati stanziati circa 130 milioni di euro, ma il denaro a posteriori non può servire in un’Isola che convive quotidianamente col rischio idrogeologico. La tragedia di Giampilieri dovrebbe rappresentare un monito ed un invito ad agire su alcune priorità: maggiore tutela del territorio, piano paesaggistico, legge urbanistica, rimboschimento.
La realtà isolana, secondo l’Arpa, è particolarmente soggetta al pericolo geomorfologico-idraulico, che infatti costituisce “il rischio più ricorrente e diffuso sul territorio regionale”. Secondo l’Agenzia regionale sono diversi i fattori che favoriscono questa alta penetrabilità del territorio siciliano: 70% della componente argillosa prevalente o significativa dei terreni affioranti, regime pluviometrico, riduzione della copertura vegetale, attività antropiche inadeguatamente programmate. I dati attestano chiaramente come all’interno del territorio si possano identificare 4588 aree a rischio geomorfologico elevato e 2166 aree a rischio molto elevato per una superficie di 1191,56 ettari e di 954,09 ettari.
Ma l’allarme non si ferma qui. Tra i maggiori fattori di criticità per il territorio rientra anche la dinamica evolutiva dei litorali, ovvero fenomeni come l’erosione e i crolli. Alcune unità fisiografiche del litorale tirreno registrano erosioni fino al 34% del totale (25.838 metri). Questa panoramica deleteria deriva dall’eccesso di attività antropica e anche da forme di inurbamento non sempre pianificate.
Secondo l’ultimo report del ministero dell’Ambiente e dell’Unione Province d’Italia il 70% dei comuni siciliani è a rischio idrogeologico. Numericamente stiamo parlando di 272 comuni di cui 200 a rischio frana, 23 a rischio alluvione, 49 a rischio frana e alluvione. Secondo una statistica redatta da Legambiente, inoltre, i comuni siciliani hanno fatto ben poco per mitigare il rischio al punto che appena il 9% ha svolto un lavoro “positivo”, mentre il 91% oscilla tra scarso e insufficiente. Diretta conseguenza della cementificazione selvaggia è invece il dato che riguarda il 93% dei comuni con abitazioni nelle zone a rischio.
La legge quadro del settore urbanistico in Sicilia risale al 1978 e da allora, in seguito a rimaneggiamenti vari, non può neanche più sostenere il suo apporto di normativa di riferimento. Risultato? Gestione urbanistica a colpi di varianti – solo il 18% dei 390 comuni dell’Isola ha strumenti con vincoli vigenti – e territorio praticamente sventrato. Questo stato di cose è stato denunciato in diverse occasioni a questo giornale da Mimmo Fontana, presidente regionale di Legambiente, e  da Leandro Janni, consigliere nazionale di Italia Nostra. L’allarme è praticamente trasversale e investe diversi aspetti: si passa da Agenda 2000 ove “anziché risanare il territorio con una gestione sostenibile – ha spiegato Leandro Janni – si è preferito agire con progetti di vecchia politica basati sulla cementificazione”, fino “all’assenza di Prg sul territorio – come ha denunciato Mimmo Fontana – che definiscono la volontaria assenza di un piano perché solo così poteva agire la speculazione edilizia”. Al resto ci ha pensato l’abusivismo e il piatto è servito.