PALERMO – Economia sommersa. C’è, ma non si vede. Produce profitti non tassati, nel senso che su quella produzione non si pagano imposte. Nell’economia sommersa rientrano le imprese che hanno lavoratori in nero, ma anche i proprietari che affittano appartamenti senza contratti di locazione. Niente ricevute, niente tasse. I soldi girano, ma chi lo sa? Fino a quando non appare la ricchezza che ne deriva, che si traduce in un tenore di vita non sempre giustificabile.
Il sommerso ha tanti volti: non solo il lavoro nero, ma anche quello grigio ( buste paga part-time per impiegati a tempo pieno per esempio), attività svolte in casa, senza regole, imprese che non sempre appaiono o non sempre appaiono per ciò che realmente sono. A Ragusa circola quasi il 30% di auto in più rispetto a Genova o a Bolzano. Un po’ strano, la cosa fa pensare.
Secondo un’inchiesta pubblicata da uno dei maggiori quotidiani economici del paese, che riporta questo dato, il redditometro e gli accertamenti sintetici saranno gli strumenti per contestare i consumi che non trovano giustificazioni nella dichiarazione dei redditi.
Il centro studi Sintesi ha costruito un indice della distanza tra quanto si ha e quanto si spende. Più il valore è negativo, più il livello dei consumi è al di sopra le disponibilità effettive “ufficiali”. Mentre l’esatto opposto si verifica nel caso in cui il numero sale da zero in su. Sardegna, Sicilia e Campania registrano un divario enorme. I redditi sommersi diventano inevitabilmente sinonimo di infedeltà fiscale. Nei piani del governo la lotta a queste forme di evasione dovrebbe derivare dal federalismo fiscale ( cioè dal potenziamento della capacità impositiva degli enti locali): tra gli strumenti la previsione di maxi sanzioni ai proprietari che affittano in nero e di premi agli inquilini che denunciano. Un meccanismo che, se funziona, aiuterà soprattutto i comuni del Mezzogiorno (qui le locazioni fantasma abbracciano un immobile affittato ogni tre, mentre al Nord la loro incidenza oscilla fra il 4 e il 10 per cento).
Le imprese possono fare parte di un’economia regolare, di un’economia irregolare o sommersa, o di un’economia illegale, con infiltrazioni da parte del crimine organizzato. Dalla seconda alla terza fase il passo è breve. Già da anni è stato evidenziato che i fenomeni di inquinamento ambientale a aziendale sembrano colpire prevalentemente le piccole e medie imprese ed il fenomeno è accentuato nelle regioni meridionali. Le statistiche del sommerso sono tra le più complicate da realizzare: proprio perché è difficile “contare” qualcosa non si vede, salvi appunto i controlli incrociati.
Chiaramente la fragilità del sistema produttivo della Sicilia e l’elevato tasso di disoccupazione contribuisce allo sviluppo di economia sommersa. Un’attività in nero può “emergere” e diventare regolare, o essere sanzionata ed arrivare essere chiusa.
Sulla procedura di emersione dal 2002 al 2009 si sono susseguiti una serie di leggi, decreti e circolari. Il decreto legge 210 del 2002 ha apportato delle modifiche alla legge 383 del 2001: sono stati introdotti i Cles, Comitati per il lavoro e l’emersione del sommerso. Hanno il compito di valutare i piani di emersione progressiva e giocano un importante ruolo nell’incentivare e stimolare la presentazione dei progetti per l’emersione a livello provinciale (www.emersionesicilia.it è il portale sull’emersione del lavoro non regolare in Sicilia).
Ma non è tutto, per quanto riguarda le aziende. Nascono con finalità anti-evasione le nuove norme che estendono gli obblighi di comunicazione di quelle operazioni che il codice societario definisce operazioni straordinarie agli Enti pubblici interessati. Dal 1° maggio 2010 le operazioni di trasferimento all’estero, tanto nei Paesi dell’Unione Europea che in quelli extra europei, della sede sociale di società italiane, gli atti di fusione, gli atti di scissione, gli atti di conferimento d’azienda, oltre all’ordinario obbligo di comunicazione e quindi di iscrizione nel Registro delle Imprese, ai fini pubblicistici, dovranno essere comunicati anche all’Agenzia delle Entrate, all’Inps e all’Inail.
I numeri dell’evasione in Sicilia recuperati 450 mln nel 2009
Lasciamo parlare i numeri. La Direzione regionale siciliana dell’Agenzia dell’Entrate ha di recente comunicato in una nota stampa i risultati della lotta all’evasione in Sicilia: è stato registrato il 15% di incassi in più nel 2009, pari a quasi 450 milioni di euro. “Una somma recuperata” si legge nel comunicato stampa “grazie all’attività di contrasto degli inadempimenti tributari dei contribuenti siciliani. Forte crescita (+ 27%), in particolare, per i versamenti diretti (ossia quelli non riscossi mediante ruolo), che hanno fatto rientrare nelle casse erariali oltre 230 milioni di euro.” Ma c’è di meglio e di più: “ 65.161 gli accertamenti effettuati, per una maggiore imposta accertata di oltre 1 miliardo di euro (di cui 860 milioni derivanti da accertamenti eseguiti nei confronti di imprese di piccole dimensioni e professionisti).” E ancora: “Significativo il dato relativo al ricorso agli istituti definitori (adesione e acquiescenza), con circa 20.000 accertamenti definiti per una maggiore imposta definita di quasi 52 milioni di euro.” Infine “L’Ufficio Antifrode della Direzione regionale” conclude la nota “istituito lo scorso anno in occasione della riorganizzazione dell’Agenzia, che si occupa specificatamente di indagini fiscali sui più significativi fenomeni di frode a livello regionale, da febbraio a dicembre 2009 ha effettuato 43 tra verifiche ed accessi mirati per una maggiore iva constatata di 21 milioni di euro, un maggiore imponibile Imposte dirette di oltre 29 milioni ed un maggior imponibile Irap di oltre 26 milioni”.