NAPOLI – Sulla tecnologia 5G circolano svariate fake news, specie sui social network: l’ultima in ordine di tempo correla il vaccino anti Covid-19 a un microchip 5G impiantato sottopelle per controllare la popolazione, ma c’è anche chi ritiene che la rete 5G sia stata utilizzata per la diffusione del Coronavirus nel mondo, chi è convinto che il 5G faciliti lo spionaggio o chi sostiene che la tecnologia di quinta generazione abbia effetti negativi sulla salute dell’uomo. Per fare luce sul tema, abbiamo interpellato Nicola Pasquino, ordinario di “Misure per la compatibilità elettromagnetica” all’Università Federico II di Napoli.
Da mesi circola, specie sul web, la bufala del legame tra 5G e Covid. Ci può spiegare come stanno le cose?
“È sempre difficile riuscire a smontare una bufala, perché le origini sono sempre incerte. Ritengo che essa sia nata per alcune coincidenze. Sappiamo tutti che il virus parte da Wuhan, città cinese dove il 5G era stato introdotto già qualche mese prima per effettuare test sulle effettive prestazioni raggiungibili dalla nuova tecnologia. Sappiamo anche che in Europa il virus si diffonde, inizialmente, in città dove si stavano installando sistemi 5G. Poiché a molti piace vedere un nesso causale anche dove c’è una semplice coincidenza, ecco che le due cose –5G e Covid – vengono subito collegate. Credo che per comprendere bene come stiano le cose ci si debba porre delle domande e guardare anche i dati, che sono elementi oggettivi. Innanzitutto: come si diffonde un virus? Si diffonde con i contatti tra le persone, che sono maggiori, ovviamente, nelle città grandi, crocevia internazionali per persone e merci. In quelle stesse città, proprio per la maggiore rilevanza economica e sociale, è normale che ci sia anche una diffusione maggiore delle nuove tecnologie. Ed è qui che le 5G e Covid si ‘toccano’: un’epidemia si diffonde grazie allo scambio tra persone e in una grande città questo scambio è maggiore, come maggiore è la diffusione di nuove tecnologie. Questa coincidenza di eventi ha fatto pensare che ci fosse un nesso causale fra epidemia e tecnologia, quando invece si tratta solo di una coincidenza. La prova sta nel fatto che il Covid, anche prima che fosse dichiarata la pandemia, si fosse diffuso anche in luoghi dove non c’era il 5G. Per averne conferma basta consultare i siti ufficiali in cui viene mostrata l’evoluzione temporale del contagio: e questi sono dati, numeri a cui è difficile opporsi”.
Quale impatto ha il 5G sull’ambiente?
“Il 5G è una tecnologia che potenzialmente può ridurre in maniera anche consistente i consumi energetici. Il protocollo 5G, ovvero l’insieme di ‘regole’ che determinano come il segnale viene trasmesso, è stato infatti sviluppato per ridurre la trasmissione di potenza, in particolare da parte della stazione radio base (il cosiddetto ‘ripetitore’). Un sistema ottimizzato nella irradiazione di potenza riduce di molto i consumi energetici perché assorbe molto meno energia dalla rete elettrica. Allo stesso tempo, irradiando meno potenza ho livelli minori di campo elettromagnetico, quindi una minore esposizione della popolazione”.
Ci sono nuovi studi in merito alla tecnologia 5G e all’impatto sulla salute dell’uomo?
“In quest’ultimo anno e mezzo gli organismi internazionali preposti allo studio della letteratura mondiale ai fini della redazione di linee guida o di norme per la tutela della popolazione dagli effetti dei campi elettromagnetici non hanno ritenuto di dover apportare alcuna modifica ai limiti. È pur vero che questi enti non si riuniscono ogni anno, ed il motivo sta nel fatto che la ricerca scientifica ha bisogno di tempi sufficientemente lunghi per essere portata avanti e affinché i tanti gruppi di ricerca sparsi nel mondo sviluppino un corpus di risultati scientifici sufficientemente solido per poter essere preso in considerazione dagli enti preposti e consentire di decidere se e quali azioni intraprendere. Che io sappia, comunque, da febbraio 2020 – quando l’ICNIRP ha pubblicato le ultime linee guida, che sostanzialmente confermano quanto già dichiarato nella precedente versione pubblicata nel 1998 – non ci sono stati studi i cui risultati abbiano evidenziato effetti tali da richiedere azioni immediate. E comunque, come dovrebbe essere chiaro da quanto detto prima, vale sempre un principio: un solo studio non è mai sufficiente per indurre ad una modifica di limiti o delle politiche internazionali sul tema della protezione dei cittadini, perché c’è bisogno che altri gruppi di ricerca trovino in condizioni analoghe quello stesso effetto”.