PALERMO – “Il 40 per cento delle imprese siciliane rischia nei primi sei mesi del 2011 di chiudere i battenti”: l’allarme è stato lanciato dalla Cna siciliana che si è riunita nei giorni scorsi all’hotel San Paolo Palace di Palermo. Esiste di fondo un grave malessere economico e produttivo nell’Isola e ne sono testimonianza gli attuali trend del mercato che parlano di crescita delle imprese extra Ue (soprattutto cinesi) e di calo nel 2010 di circa il 20 per cento delle aziende dirette da siciliani.
Segno evidente di un sistema produttivo insostenibile per chi lavora garantendo una certa qualità standard alla produzione, che quindi significa anche maggiori investimenti. La Cna siciliana è convinta che si è arrivati ad un vero e proprio bivio: “Secondo i nostri calcoli – sottolinea Giovanni Casamento, presidente provinciale della Cna di Palermo – con questo andazzo nei prossimi 6 mesi del prossimo anno saranno costrette a chiudere il 40 per cento delle imprese. L’attuale sistema economico e il generale clima amministrativo, che ad oggi non ha aiutato l’impresa a venire fuori dalle sue difficoltà di mercato, non potrà far altro che creare un disagio ancor più accentuato. Sino ad oggi le perdite di esercizio sono state tamponate da un sistema produttivo che, specie sul fronte dell’artigianato, ha retto l’onda d’urto. Ma questo periodo negativo s è allungato oltre ogni misura e non si può più andare avanti”.
Alla presenza dell’assessore regionale alle Attività produttive, Marco Venturi, la Cna ha sottoposto una piattaforma programmatica di interventi da attuare necessariamente a favore delle imprese locali. È stato sollecitato il governo affinchè: siano erogati i contributi per l’abbattimento degli interessi alle imprese che hanno presentato richiesta di finanziamenti attraverso i Consorzi Fidi; siano messe in atto misure idonee per consentire un più rapido accesso al Credito agevolato; sia elevato almeno a 100 milioni di euro il fondo per il bando a graduatoria per le imprese che intendono effettuare investimenti oltre 50.000 euro (circa 300 in Sicilia e 90 nella sola provincia di Palermo).
Accanto a questo si aggiunge la necessità di: accelerare l’iter dei pagamenti del bando a sportello dell’artigianato fino a 50.000 euro e riproporlo con una nuova dotazione finanziaria; definire la graduatoria del bando a sportello per il commercio; definire la graduatoria dei centri commerciali naturali; ripristinare il fondo ed erogate le spettanze per le assunzioni della legge regionale numero 27, articolo 9; emanare un bando a favore dei Consorzi di imprese che intendono realizzare opere infrastrutturali all’interno delle aree di insediamenti produttivi.
“Inoltre sollecitiamo ancora il governo nazionale – ha aggiunto la Cna siciliana – affinché prenda misure idonee per il rilascio del Durc, il documento di regolarità contributiva delle aziende, anche in presenza di pagamenti insoluti fino a 10.000 euro e l’abbattimento delle sanzioni per i contributi Inps e Inail applicando soltanto interessi a tasso legale”.
Anche l’agricoltura in sofferenza già chiuse 50 mila imprese
L’assessore regionale alle Attività Produttive, Marco Venturi, lascia uno spiraglio aperto di fronte al grido d’aiuto lanciato dalle imprese siciliane: “Vaglieremo attentamente tutte le proposte contenute nella piattaforma rivendicativa – asserisce – e concerteremo il da farsi per sostenere le imprese in difficoltà”. In realtà il problema del rischio della chiusura delle imprese non riguarda solo il mondo dell’artigianato. Le proiezioni negative infatti interessano da vicino anche il settore dell’agricoltura: “Stiamo attraversando un momento di profonda crisi, sono scomparse 50.000 aziende in Sicilia. Da sempre chiediamo che la politica regionale si assume le sue responsabilità, affrontando le emergenze” ha sostenuto appena qualche giorno fa il presidente regionale di Confagricoltura, Gerardo Diana commentando la situazione del comparto agricolo in Sicilia. Ad essere messa in evidenza un’altra problematica che è proprio quella relativa al proliferare delle aziende extra Ue. Secondo le organizzazioni di categoria non è solo la crisi che sta contribuendo a creare questa mutazione del mercato: “L’Unione europea è sempre più liberale e permissiva nell’aprire il mercato comunitario alle aziende dei Paesi extra Ue – afferma Cesare Fumagalli, Segretario generale Confartigianato imprese – e sempre più rigida ed oppressiva verso le imprese europee costrette al rispetto di un numero crescente di regole”.