Acqua, un servizio da migliorare altrimenti i costi non si giustificano

PALERMO – Il meccanismo Ato si è inevitabilmente inceppato. Il 2010 è stato l’anno che ha sancito, ancora una volta, la non-svolta nel sistema di gestione delle acque e la Sicilia ha dimostrato di essere terra di frontiera nella sperimentazione e nel fallimento di nuove modalità di gestione.
Dopo decenni di devastazione pubblica delle autostrade dell’acqua isolane – con annesso inserimento della criminalità mafiosa nei lucrosi appalti e nella diffusione della risorsa – gli ultimi anni hanno attestato la presenza di diverse società private nella gestione del servizio tramite gara. Una peculiarità tutta isolana che avrebbe dovuto rimediare ai danni compiuti in passato ma che invece ha chiuso in ritirata l’anno che si è appena concluso.
Gli analisti economici continuano a sostenere che un rilancio del sistema appare complicato perché le tariffe sono ancora troppo basse rispetto a quelle del Nord, anche se a Palermo, Catania e Messina, sono comunque più elevate di Milano, Napoli, Roma e Venezia, mentre Agrigento ha avuto negli anni passati il record nazionale di città più cara nonostante il servizio non sia h24 in tutti i comuni della provincia.
Il 2010 ha sancito la fine dell’esperienza Aps (Acque potabili siciliane) che è in liquidazione dal luglio scorso, ma in generale l’esperimento del privato, ben più poderoso in Sicilia che altrove, non ha risolto le magagne del sistema. Proprio l’Aps a Palermo, secondo i dati diffusi al 2009 dal suo amministratore delegato dell’epoca Lorenzo Serra, aveva effettuato interventi in 53 comuni, nei quali in 23 si era ridotta la turnazione, in 12 comuni l’acqua erogata era diventata h24, mentre in 18 comuni si era ancora all’inizio.
Eppure sulla Sicilia sono previsti una pioggia di euro: 2,76 miliardi per i prossimi tre decenni. Il problema è che lo stato del servizio non ha avuto quello scarto che ci si aspettava e a fronte degli aumenti in bolletta, sebbene ancora mediamente inferiori al settentrione d’Italia, in alcune realtà la situazione è rimasta tale e quale al passato. Gli economisti sostengono che l’esperimento Sicilia, e le sue cinque società affidatarie sulle sette in tutto il Paese, abbia in qualche misura anticipato come senza un sistema di riferimento politico e amministrativo non possa esserci sviluppo e adeguamento delle reti colabrodo, delle dighe e del servizio in generale.
Questa affermazione è in qualche modo corroborata dai dati degli investimenti del 2009, in attesa che la Conviri pubblichi quelli del 2010, che fanno riferimento a due sole province, mentre in realtà tutte le realtà locali dovrebbero dare conto alla commissione del lavoro svolto. Ebbene, per le due province che hanno diffuso i dati, e che possono essere considerate come una sorta di spaccato della situazione nell’Isola, il tasso di realizzazione degli investimenti rispetto a quelli previsti al lordo dei contributi a fondo perduto è pari al 12% ad Enna e ed all’1% a Caltanissetta a fronte di una media nazionale del 56%. In attesa del referendum, la Sicilia ha già visto il suo futuro.