Palermo – “Lo stato dell’agricoltura nel Meridione d’Italia, il punto di vista dell’impresa” è stato il titolo dell’intervento di Gerardo Diana, presidente regionale della Confagricoltura siciliana, presentato durante l’incontro organizzato lo scorso 14 gennaio dall’Accademia dei Georgofili presso l’Aula Magna della Facoltà di Agraria dell’Università di Palermo.
Diminuzione del 12% degli investimenti fra il 2008 e il 2009 nel Sud Italia, con una perdita del 20% della produzione di olio e del 15% di quella dei cereali, sono state solo alcune delle poco rassicuranti percentuali fornite dall’imprenditore nel delineare il quadro della situazione agricola meridionale nell’ultimo triennio.
Il divieto di resa è tuttavia definitivo, sia per gli accademici che per gli imprenditori. Le 110.000 imprese iscritte alla Camera di Commercio, così come i 130.000 braccianti agricoli iscritti all’INPS e i 15.000.000 di giornate lavorative registrate solo in Sicilia sono numeri che impongono la definizione di un nuovo piano di sviluppo agricolo che sappia guardare al futuro e sappia darsi la direzione della meta che intende raggiungere. “Agricoltura, ha sottolineato Diana, non fa rima con arretratezza, come spesso si è portati a credere; al contrario sono cifre che devono imparare a difendere il proprio potere di dialogo con i rappresentanti politici e istituzionali in primis, e con la grande distribuzione per ciò che concerne lo sviluppo economico”.
Troppo spesso l’ICE (Istituto per il Commercio Estero, ndr.) ha agito senza nessuna attuazione di uno studio preliminare delle conseguenze delle azioni delle decisioni economiche messe in atto, e gli accordi in deroga con Egitto e Marocco sono delle armi a doppio taglio troppo affilate per potere essere trascurate.
La riforma PAC (Politica Agricola Comune) – ha sottolineato il relatore – può essere una soluzione per l’istaurarsi di un nuovo dialogo con la grande rete di distribuzione che fra l’altro, non essendo più italiana, ha creato dei gap comunicativi non indifferenti.
La prima soluzione per poterci di nuovo porre come attori forti nel processo di scambio? Delle infrastrutture degne di tale nome, che ci rendano competitivi sia sul fronte dei costi che su quello dei tempi. I porti di Palermo e quello di Catania, sono stati infatti additati da Diana come due modi sbagliati di intendere la competitività territoriale e la strategicità di posizione di cui la Sicilia gode naturalmente. Una nuova intesa con le frange politiche, dunque, è stato quanto auspicato, nella duplice direzione di rapporto critico e dialogo propositivo.
Spinti dalle scadenze imposte dal Protocollo di Kyoto, la comunità europea, lo Stato italiano e le regioni si sono mosse verso la direzione delle energie rinnovabili offrendo finanziamenti e contributi a fondo perduto per lo sviluppo dell’energia solare.
In Sicilia, come nel Sud Italia in generale – ha sottolineato Diana – il problema non è solo l’avere “fatto male”, ma soprattutto il non avere agito.
L’incremento dei colture di cereali a destinazione energetica, la rivalutazione di tutta la filiera produttiva, partendo dalle colture da cui si ottiene la produzione di sementi alla distribuzione del prodotto, con una analisi attenta e dettagliata dell’eventuale impiego degli OGM, fino al dialogo costante fra i vari operatori che prendono parte al processo dell’industria agricola, sono le nuove direzioni verso cui orientarsi. Il sentire la terra non come luogo di lavoro, ma come patrimonio della propria cultura, della propria famiglia e come bene inestimabile capace di produrre non soltanto reddito, ma vita sopra ogni altra cosa.