ROMA – Resistono in Sicilia le aziende agricole mentre tendono a sparire nel resto d’Italia. E’ il dato rilevato dal sesto censimento dell’agricoltura dell’Istat sui dati raccolti nel 2010 in raffronto al precedente rilevamento del 2000.
Il calo riguarda le piccole aziende, difatti è contemporaneamente cresciuta nel decennio la dimensione media aziendale, passando da 5,5 ettari a 7,9 ettari (+44,4%) e quindi la superficie coltivata scende solo del 2,3%.
Oltre la metà delle aziende è concentrata in cinque regioni: in testa la Puglia con oltre 275 mila, seguita dalla Sicilia (219 mila), Calabria (138 mila), Campania (137 mila) e Veneto (121 mila). In queste regioni opera il 54,6% delle aziende agricole italiane.
In dieci anni le aziende agricole operanti in Italia sono diminuite del 32,2%, attestandosi a 1.630.420 unità rispetto alle precedenti 2.405.453.
In crescita la ‘quota’ rosa dell’imprenditoria agricola. Passa dal 30,4% al 33,3%. Da sottolineare, infine, che la diminuzione nel decennio delle aziende a conduzione femminile è minore rispetto alla flessione registrata da quelle a conduzione maschile (-29,6% contro -38,6%).
Il dato complessivo che ne emerge è che "L’8% delle imprese agricole gestisce il 63% dei terreni coltivabili". Si consolida così la "minoranza trainante".
Dai dati Istat emerge un quadro abbastanza chiaro: dal 2000 al 2010 sono scomparse 800 mila imprese (-32%, da 2,4 milioni di aziende a 1,6 milioni) e la dimensione media aziendale è ora di 7,9 ettari (+44%, era di 5,5 ).
Secondo l’Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica (AIAB), “Il quadro rilevato dai dati provvisori del 6° Censimento generale dell’agricoltura fotografa tendenze da tempo in atto nel settore, ma stupisce per la loro entità e ci restituisce un’istantanea dell’agricoltura italiana a dir poco preoccupante”. “Siamo di fronte a una pesante perdita della superficie agricola utilizzata pari a 300 mila ettari – si legge in un comunicato dell’AIAB – a una perdita di superficie aziendale totale di un milione e mezzo di ettari, nonché in presenza di una gravissima perdita del numero delle aziende, che negli ultimi dieci anni si sono ridotte di circa un terzo. Numeri che non denunciano solo una radicale ristrutturazione del settore primario, ma che puntano il dito verso un vero e proprio abbandono delle zone rurali, verso una erosione di terre fertili per un mal concepito uso del suolo e, soprattutto, verso una politica incapace di investire nell’agricoltura e nella preziosa opera di presidio del territorio che le aziende agricole offrono alla collettività”.
Sul fronte dell’abbandono del territorio la situazione è particolarmente grave in regioni come la Liguria, la Valle d’Aosta e il Friuli Venezia Giulia – caratterizzate da una grande vulnerabilità idrogeologica, dove la presenza di tessuto agricolo è fondamentale – che negli ultimi dieci anni hanno visto rispettivamente una contrazione delle aziende del 46,1; del 41,2 e del 33%.
Ma la Sicilia con le sue 219 mila aziende presenti in tutta l’Isola conferma una vocazione agricola che è da sempre radicata nel territorio nonostante una crisi che ha toccato pesantemente il settore negli ultimi anni.
L’approfondimento. Situazione ben più grave per la zootecnia
Secondo il sesto censimento dell’agricoltura dell’Istat, la situazione è ancor più grave per la zootecnia.
Il Rapporto dell’Istituto Statistico mostra, secondo un raffronto di dati del 2010 con quelli del 2000 che c’è stato un crollo delle aziende dedite all’allevamento di quasi il 70% tra il 2000 e il 2010. I dati ISTAT testimoniano di un vero e proprio smantellamento dell’agricoltura mista che coniuga virtuosamente allevamento e coltivazione e di una sua sostituzione con un sistema basato su allevamenti intensivi e industrializzati e a forte concentrazione territoriale. Sistema che non solo crea problemi per la gestione dei reflui rivelandosi ambientalmente insostenibile, ma che non regge neanche dal punto di vista economico. Proprio il settore zootecnico, infatti, è il più indebitato dell’intero comparto agroalimentare nazionale.
Il settore allora ha bisogno di un rinnovamento dal punto di vista tecnico in linea con le principali linee europee che consenta alla zootecnia di diventare una risorsa economica per l’intero paese.
Ci si chiede allora se il problema riguarda anche gli investimenti in questo settore che sono scarsi rispetto ad altri comparti o anche ad una mancata evoluzione dell’intero agroalimentare.