ROMA – Pregiudizi che non si infrangono e proposte di legge che annegano: una storia italiana che si ripete. Il 26 luglio scorso la Camera dei deputati ha respinto una proposta di legge, l’ennesima, concernente i reati di omofobia.
Con 293 sì, 250 no e 21 astenuti, l’Aula ha infatti approvato le pregiudiziali di incostituzionalità presentate da Pdl, Lega e Udc. La proposta di legge, che ha visto come primo firmatario il deputato democratico Antonello Soro, intendeva introdurre nell’ordinamento italiano un’aggravante per reati compiuti “in ragione della disabilità, del sesso, dell’età, della omosessualità o della transessualità della persona offesa” modificando l’articolo 61 del codice penale.
Non si tratta del primo “gran rifiuto” della questione omofobia da parte del Parlamento italiano: già nel 2009 durante questa stessa legislatura era naufragata l’analoga proposta di legge presentata da Anna Paola Concia, la quale aveva tentato di introdurre il reato di omofobia. Allora come oggi la levata di scudi delle forze parlamentari più conservatrici ha bloccato l’aggiornamento del codice penale italiano nella direzione peraltro indicata dalla stessa Unione Europea nell’ambito del Trattato di Lisbona del 2008.
La proposta di legge Soro, presentata nell’ottobre del 2009 all’indomani della bocciatura della proposta di legge Concia, intendeva attuare un compromesso non introducendo una nuova fattispecie di reato ma, come già accennato, prevedendo delle aggravanti per i reati di violenza commessi per motivi di omofobia e transfobia: “La presente proposta di legge – si legge infatti nel documento presentato alla Camera – intende porre rimedio a una grave lacuna del nostro ordinamento che non prevede attualmente una tutela nei confronti delle persone vittime di reati anche in ragione del loro orientamento sessuale”.
A nulla è valso però il tentativo di mediazione e la proposta non è stata neanche discussa nel merito perché giudicata viziata da pregiudizi di incostituzionalità: l’aggravante per motivi di omofobia e transfobia violerebbe, a detta della maggioranza della Camera, gli articoli n. 3 e 25 della Legge fondamentale dello Stato italiano e cioè i requisiti rispettivamente di uguaglianza e tassatività. Secondo i deputati Buttiglione, Capitanio Santolini e Binetti “si potrebbe delineare anche una violazione del principio di uguaglianza in quanto l’aver agito per motivi di ‘omofobia e transfobia’ prefigurerebbe una situazione normativamente differenziata rispetto ad altre situazioni analogamente meritevoli di tutela, in cui si commettono delitti contro la persona in ragione dello stato in cui versa (ad esempio, un barbone o un anziano, in quanto tali)”.
La realtà è che a vincere è ancora una volta un pregiudizio di matrice cattolica che ritroviamo per intero nel trionfalistico comunicato stampa diramato all’indomani della bocciatura del testo dal deputato nisseno in quota Pdl, Alessandro Pagano: “L’Italia – si legge – è un Paese dalle profonde radici cristiane e l’eventuale vittoria di questa ideologia avrebbe avuto ripercussioni mondiali. Far passare questa legge significava infatti aprire le porte al matrimonio gay e soprattutto alle adozioni di figli da parte di coppie gay”.
Intanto, dal Nord al Sud Italia le cronache riportano un numero sempre crescente di violenze a sfondo omofobico, di cui però, e questo è l’assurdo, non si può avere una precisa contabilità proprio perché in Italia non esiste una specifica fattispecie di reato a differenza di altri Stati europei come Danimarca, Francia, Islanda, Norvegia, Paesi Bassi e Svezia.