Licenziamenti più facili, giovani a rischio

PALERMO – Sarà possibile licenziare senza giusta causa se il sindacato aziendale è d’accordo. E’ quanto previsto da un emendamento alla manovra presentato dalla maggioranza e approvato in Commissione Bilancio del Senato. La Cigl è infuriata, il Pd denuncia l’avventurismo del governo ma il ministro Sacconi è tranquillo: non c’è nessuna libertà di licenziare. Le intese sottoscritte a livello aziendale o territoriale, è stato deciso dal Senato, possono derogare a leggi sul lavoro, comprese quelle sul licenziamento, e alle relative norme contenute nei contratti nazionali. Resta salvo il rispetto della Costituzione, dei vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro.
Per la Sicilia questa novità potrebbe anche rappresentare l’ennesima e forse definitiva mazzata al mercato del lavoro, già fortemente provato dalla crisi. Tra l’altro proprio nell’Isola esiste già un sistema che sta prendendo sempre più piede ed è quello del mobbing, cioè vale a dire le vessazioni dei “capi” ai propri dipendenti. Già due Comuni siciliani sono stati condannati, tantissime altre cause sono in corso anche all’interno di aziende private. Segno che i datori di lavoro già oggi si fanno pochi scrupoli, con questo nuovo strumento che rende i licenziamenti più facili il dipendente rischia di diventare ancor più ricattabile.
Sotto tiro finiscono quindi i giovani: già il 40 per cento è disoccupato, ora per avere un posto di lavoro si potrebbe scendere a compromessi ancor più imbarazzanti. Nel testo approvato in Senato tra l’altro si esplicita che le intese valide saranno non solo quelle “sottoscritte a livello aziendale o territoriale da associazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale” (come già prevedeva il testo della manovra) ma si aggiunge che anche le associazioni "territoriali" avranno la possibilità di realizzare specifiche intese “con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati” su temi come “le mansioni del lavoratore, i contratti a termine, l’orario di lavoro, le modalità di assunzione, le conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio” e per le problematiche legate alle lavoratrici madri.
Le modifiche volute dalla maggioranza hanno determinato l’immediata reazione della Cgil. Per il numero uno di Corso d’Italia, Susanna Camusso, “le modifiche volute dalla maggioranza di governo all’articolo 8 indicano la volontà di annullare il contratto collettivo nazionale di lavoro e di cancellare lo Statuto dei lavoratori, e non solo l’articolo 18, in violazione dell’articolo 39 della Costituzione e di tutti i principi di uguaglianza sul lavoro che la Costituzione stessa richiama. Infine – ha aggiunto – negano il principio di rappresentatività che non può che essere dato dall’iscrizione al sindacato e dal voto dei lavoratori che viene invece escluso dalle modalità previste dall’articolo 8”. Secondo la Camusso, questa iniziativa scava un profondo solco verso Cisl e Uil e solo una rinuncia alle modifiche dell’articolo 8 possono indurre a riproporre l’unità sindacale”.
 

 
Immodificabili i principi fondamentali della Costituzione
 
Di tutt’altro avviso il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, secondo cui le modifiche all’articolo 8 introdotte dalla Commissione Bilancio del Senato “è inequivoco che non possono modificare le norme di rango superiore come i fondamentali principi costituzionali o di carattere comunitario e internazionale. Anche per quanto riguarda il delicato tema dei licenziamenti le intese possono solo intervenire sul modo di sanzionare quelli senza giusta causa”. “Non ha senso – ha sottolineato Sacconi – parlare di libertà di licenziare o usare altre semplificazioni che non corrispondono, neppure lontanamente, alla oggettività della norma”. Senza appello il giudizio del Pd: “Abbiamo un governo avventurista e irresponsabile che in un momento difficilissimo per il paese pensa di ricavare qualche soddisfazione provocando rotture e divisioni nel corpo sociale. Quel che è avvenuto oggi sull’articolo 8 deve essere rimediato in Parlamento: si torni all’accordo del 28 giugno e si parta da lì per una stagione nuova di concertazione, per uno sforzo comune volto ad affrontare la crisi", ha detto il Segretario nazionale, Pier Luigi Bersani.