A Roma e a Milano si ciancia dei costi della politica, si lanciano fumosi proclami, si chiacchiera e intanto nel profondo sud, si fanno i fatti. A Campobello di Mazara, in provincia di Trapani, informano diverse agenzie, è accaduto l’inaudito: il sindaco, Ciro Caravà, si è più che dimezzato lo stipendio, tagliandone il 65%. Già lo prendevano per matto quando dai 4.500 euro del suo predecessore l’aveva portato a 2.800. Adesso è arrivato a 1.220.
Aperto il sito del comune di Campobello per contattare Caravà, scopriamo che le sorprese non sono finite. Nella pagina dei contatti c’è qualcosa che farebbe commuovere fino alle lacrime il ministro Brunetta: “Scrivi al protocollo generale all’email certificata c.carava@postecert.it”. Telefoniamo al numero del centralino. Il tempo di informarci, in quattro lingue, che l’operatore è momentaneamente occupato, ecco che questo, con cortesia – un miracolo dopo l’altro – ci informa che il sindaco è uscito, ma può passarci il suo portavoce. Che ci annuncia una chiamata del sindaco. E tre minuti dopo ecco in linea Ciro Caravà.
Scopriamo che ha 52 anni, è sposato, ha due figli e ha sempre lavorato nella Formazione professionale. Da sei anni è sindaco di Campobello – a capo di una giunta sostenuta dal suo partito, il Pd, e da Mpa e dalla lista civica Democrazia e Libertà – e da allora, nonostante il Comune fosse quasi al dissesto, non ha mai sforato il patto di stabilità. A costo di ricorrere a misure drastiche come il taglio del suo stesso stipendio.
“Per la prima volta – rivela, con quel suo simpatico accento siciliano – l’ho fatto nel 2006. E se non me ne sono pentito allora e non me ne pentirò oggi, anche se, ovviamente, sono sacrifici per tutti. Dovete sapere che, per legge, gli emolumenti di assessori, presidente del consiglio e consiglieri comunali, non possono superare il 45% dell’indennità del sindaco. Se dunque io mi riduco lo stipendio del 65%, automaticamente taglio anche tutte le altre indennità”.
“Abbiamo calcolato – spiega – che risparmieremo 20.000 euro al mese, rientrando così nel giro di qualche mese nel Patto di Stabilità. Dobbiamo fare la nostra parte: io credo nell’interesse pubblico e trovo immorale che la politica costi così tanto quando al supermercato vedo i pensionati comprare due ali di pollo, per risparmiare. Io intanto ho detto a mia moglie e ai miei figli: con questi 1.200 euro ci dobbiamo accomodare, c’è gente che sta peggio”.
“Voglio parlarne – aggiunge – al presidente della Regione. Lombardo, sono sicuro che capirà: dobbiamo smantellare questo sistema che ha fatto diventare la politica un lavoro, una carriera. Per me la politica è servizio. E a livello comunale può essere fatta risparmiando davvero tantissimo se si eliminano le riunioni durante le ore lavorative per spesso fantomatiche commissioni. Si facciano nel tempo libero, almeno fin quando la crisi picchierà così duramente sulla nostra gente. Ma è soprattutto nei parlamenti che bisogna tagliare i costi”.
Un discorso rivoluzionario, quello di Ciro Caravà. E chissà che la riscossa, per una nuova politica al servizio del cittadino, non parta proprio da Campobello di Mazara, tra boschi e distese di ulivi pregiati, tra vecchie tonnare e sindaci che credono ancora nell’interesse pubblico.
Tagliare i costi del Parlamento regionale abrogando l’equiparazione al Senato con legge ordinaria
È vero: fatti e non parole, sono questi che fanno abbassare i costi della politica e il sindaco di Campobello di Mazara è un esempio per tutti, a partire dai novanta parlamentari che hanno respinto due volte la legge per la riduzione del loro numero, il disegno di legge Barbagallo (Pd) n. 52 del 9 giugno 2008. Adesso si presenta nuovamente tortuoso l’iter del nuovo ddl 778, sempre di Barbagallo, che ha già un mese (6 settembre 2011) ma chissà quando arriverà in Aula per la discussione. Eppure bisognerebbe fare al più presto perché si tratta di una riforma costituzionale quindi dovrà affrontare anche l’iter al Parlamento nazionale.
Ma c’è un altro intervento che potrebbe dare un serio colpo di scure agli stipendi dei parlamentari regionali e dei dipendenti dell’Assemblea: abrogare la legge regionale n. 44 del 1965 di equiparazione al Senato. Questo sarebbe immediato, semplicemente con una legge ordinaria, ma ad oggi nessun gruppo parlamentare ha deciso di presentare tale disegno di legge.
L.R.