Imprese, l’Ars sembra affossarle. Ancora niente ddl e incentivi

PALERMO – Quanto sia importante il mondo produttivo per un qualsiasi territorio è risaputo, evidentemente alla Regione Sicilia qualcuno deve ancora farlo presente. Il perenne blocco di importanti normative per il settore imprenditoriale sembrano davvero essere la conferma di un generale sistema istituzionale che pare bloccare ogni iniziativa di sviluppo, o tentativo. Per sistema si intende non solo la forza governativa attuale ma anche quelle del passato ed una generale concezione che ancora oggi fa sì che la burocrazia superi le reali volontà delle istituzioni ai vari livelli.
Un esempio su tutti è il disegno di legge 119 ancora una volta stoppato dall’Assemblea regionale siciliana sempre più aggrovigliata su sé stessa e sui problemi di potere e poltrone più che sui problemi dei siciliani. Il problema è che questo disegno di legge tra l’altro blocca anche l’utilizzo di una buona fetta dei fondi Europei: “Il parlamento siciliano ha dimostrato un livello di irresponsabilità allarmante. Il nuovo stop alla legge sugli aiuti alle imprese è una batosta sulle attese di migliaia di artigiani e imprenditori”, ha asserito Mario Filippello, segretario regionale della Cna siciliana.
“Questa legge  – aggiunge – è arrivata in aula lo scorso maggio con un ritardo di due anni, e il nuovo intoppo è un segnale davvero sconfortante per l’economia siciliana. L’attesa a questo punto è diventata estenuante. Questo parlamento è evidentemente incapace di trovare soluzioni ai problemi della Sicilia”. “Credito agevolato tramite Crias e potenziamento del ruolo dei Confidi – ha aggiunto Camillo Oddo, vicepresidente dell’Ars – sono alcune delle iniziative che dovrebbero mettersi immediatamente in campo. Da parte degli artigiani e dei piccoli imprenditori arrivano infatti indicazioni serie e concrete per sostenere l’economia regionale, bisogna però fare i conti con una classe dirigente frantumata e litigiosa e gli estenuanti ritardi nell’approvazione della legge sugli aiuti alle imprese sono la rappresentazione plastica dell’incapacità di questa maggioranza a governare la Sicilia”.
Il ddl in questione servirebbe quindi anche ad impegnare i fondi Europei della programmazione 2007-2013, evidentemente ancora fermi all’utilizzo di pochi spiccioli per i ritardi della macchina amministrativa regionale. E già si comincia a parlare di disimpegno di alcune somme alla fine dell’anno se la Sicilia non sarà in grado di spendere una prima tranche di questi finanziamenti.
L’aggravante è che sicuramente per la Sicilia questo sarà l’ultimo treno utile per sfruttare fondi europei. Con la prossima programmazione infatti ci saranno tanti altri paesi, come la Romania, che rientreranno tra gli Obiettivi 1 e quindi i fondi saranno dirottati là per via dell’allargamento dei confini dell’Ue. In pratica la Sicilia rischia di finire come la Regione Sardegna che,  già per questa programmazione, non rientra tra gli Obiettivi 1 e quindi usufruirà di molti meno finanziamenti.
Il tutto si consuma in uno scenario “apocalittico” per le imprese che sono costrette a lottare quotidianamente con una recessione probabilmente senza precedenti.
 


L’approfondimento. Tante occasioni legislative sprecate
 
Tra le tante occasioni perse dalla Sicilia c’è sicuramente la legge regionale 32 del 2000. Una norma messa in piedi proprio per superare la crisi del mercato del lavoro e delle imprese. La legge contempla in particolare due misure di sostegno: l’apprendistato, previsto nell’articolo 50, 61 e 71, e gli aiuti all’occupazione e alla formazione presso le imprese, disciplinato in questo caso negli articoli 18 e 19. La normativa ha praticamente funzionato soltanto per due anni, nel 2002 e 2003, prima che nel 2004 la Regione revocasse il finanziamento di 15 milioni di euro per la parte di sua competenza pari al 30 per cento, mentre il 70 per cento era stanziato dal Por Sicilia 2000-2006. Da allora in bilancio non sono state più inserite le somme necessarie e di fatto la legge è diventata un testo legislativo vuoto. Da più parti il dito è stato puntato anche contro i sindacati che secondo diversi esponenti politici avrebbero fatto troppe pressioni, per eccessivo garantismo, affinchè gli apprendisti fossero poi forzatamente assunti. Le imprese, in questo modo, hanno preferito tirarsi indietro per paura di dovere assumere anche  lavativi.