CATANIA – Il bioetanolo è un carburante derivante da un processo di fermentazione e distillazione di biomassa agricola.
Il suo utilizzo all’interno di un motore a scoppio, rispetto a benzina o gasolio, comporta, infatti, svariati vantaggi ambientali: dall’assenza di metalli pesanti e polveri sottili al bilancio “neutro” per quanto riguarda l’anidride carbonica. Infatti, la combustione libera circa la stessa quantità di CO2 che le piante, la materia prima, hanno assorbito durante la loro crescita.
Il bioetanolo è sicuramente un’opzione energetica che riduce la dipendenza da fonti fossili d’importazione e contribuisce in modo determinante alla riduzione dei gas serra.
È in genere prodotto mediante un processo di fermentazione da biomasse, ovvero da diversi prodotti agricoli ricchi di carboidrati e zuccheri quali i cereali, le colture zuccherine, gli amidacei e le vinacce. Bisogna però registrare che il bioetanolo prodotto dai summenzionati elementi di base, è stato oggetto di una serie di allarmi che l’hanno messo in competizione con alcune colture alimentari, con un conseguente aumento della fame nel mondo, e con il depauperamento della terra fertile di alcuni Paesi africani.
Ma qui intendiamo focalizzare la nostra attenzione sull’etanolo prodotto da residui agricoli (tra cui la paglia di scarto) e dalla canna comune. È quello che si definisce etanolo di seconda generazione per indicare che non compete con la produzione di cibo.
L’utilizzo della canna comune (Arundo Donax) ha un ulteriore valore aggiunto dal punto di vista ambientale: la sua coltivazione, infatti, può avvenire su terreni marginali, non sfruttabili con colture per la produzione di cibo, e con modesti apporti idrici e di fertilizzanti. è il caso della Sicilia che certamente non solo non è deficitaria di scarti agricoli, ma ha la caratteristica positiva di avere molte aree dove è possibile coltivare, in maniera sostenibile, la canna comune.
Perché questo circolo virtuoso possa dare buoni frutti, è importante che siano verificate alcune condizioni: la sostenibilità agricola della filiera, il prezzo di mercato.
Per quanto concerne la prima condizione, è fondamentale che l’agricoltore possa coltivare la biomassa su terreni anche marginali ottenendo sia una remunerazione allineata con la media di mercato sia una riduzione di fertilizzanti, fitofarmaci e consumi d’acqua per irrigazione. Tutte caratteristiche oggi possibili.
La seconda condizione è di rendere economicamente competitivo l’etanolo rispetto ai combustibili fossili tradizionali: benzina e gasolio in testa. Quest’ultimo aspetto dipenderà evidentemente dal fattore di scala e dall’innovazione tecnologia conseguita. I presupposti, anche per questa seconda condizione, sono incoraggianti.
Attualmente nei campi italiani giacciono 18 milioni di tonnellate di scarti, derivanti dalla produzione agricola, che potrebbero fornire ogni anno circa 4,5 milioni di tonnellate di bioetanolo. È uno scenario favorevole, a tal punto che il nuovo ministro per l’Ambiente Corrado Clini ha manifestato la volontà di redigere, entro la fine dell’anno, un piano nazionale per i biocarburanti e i carburanti tradizionali inserito nell’ambito dell’obiettivo della Comunità europea di coprire, entro il 2020, il 10 per cento di consumo della benzina con il bioetanolo.