I borghi dimenticati dalla Regione

PALERMO – “Il patrimonio dimenticato” è la definizione con la quale meriterebbero di essere indicati gli oltre 800 borghi regionali (829 “Centri e nuclei storici”, a beneficio di precisione, censiti nel Piano paesistico dall’assessorato regionale ai Beni Culturali) di cui la Sicilia sembra continuare a non comprendere il valore e le potenzialità.
In gran parte di questi piccoli centri  si possono vedere palazzi diroccati, strade sconnesse, mancanza di qualsiasi tipo di attività commerciale o tipica artigianale.
Manca un contesto organizzato di attività commerciali (magari attorno a una strada o una piazza), che risultano invece distribuite in maniera disordinata, tale da rendere le botteghe difficilmente identificabili dal turista e quindi fruibili. Manca poi qualsiasi forma di promozione mirata (soprattutto a livello extraregionale) che possa attirare i visitatori con iniziative culturali di più ampio respiro.
Gli antichi borghi siciliani sono sempre più dei “paesi fantasma”.
Non è difficile farsi un’idea degli elementi storici, architettonici e paesaggistici, tesori di cui ogni borgo è custode, se si pensa a ciò che con tale denominazione si intendeva già a partire dal medioevo, ovvero quei paesi con un mercato ed una fortificazione; se si aggiunge poi che l’edificazione si sviluppava intorno ad una piazza – di norma quella della chiesa o del comune – e che tutto intorno sorgevano fortezze militari e castelli, ecco allora che ogni realtà diventa portatrice di qualcosa di unico e particolare.  
La prima cosa a colpire? La differenza di capacità attrattiva non soltanto per il turismo fisico, ma ancora prima per quello telematico.
 Che la prima valorizzazione parta dalla rete è un concetto che sembra non essere abbastanza chiaro alle correnti politiche e dirigenziali isolane che dovrebbero invece lanciare un’occhiata alle best practice di altre regioni che hanno saputo investire non soltanto in un rilancio completo e globale dell’intero territorio regionale amministrato e dei singoli elementi che insistono sullo stesso, ma anche nella comunicazione. 
“Senza un recupero capillare del territorio non può esserci ripresa– ci dice l’assessore al Turismo Strano – ed è su questo che lavoreremo; nel triennio 1996-’98 abbiamo recuperato vari centri che oggi, a distanza di più di 10 anni, hanno una loro rilevanza sul piano turistico: si ricordino, ad esempio, Calatafimi e Zafferana Etnea. È ovvio che quelle sono state soltanto delle azioni di un piano di ripresa sul quale mi impegno a lavorare nuovamente”.
Ma se valorizzare in senso tecnico ogni piccolo “tesoro” rappresentato dai borghi richiede ingenti risorse economiche e umane perché non cominciare dai piccoli passi? Dal comune di Motta D’Affermo, piccolo centro in provincia di Messina  a 660 m s.l.m. ci informano che nel 2008 a fronte di una popolazione residente di 886 unità ha avuto, grazie all’iniziativa comunale e ad una buona gestione dei fondi regionali e provinciali, un flusso di turisti under 25 pari a oltre 1/8 degli stessi residenti: un gruppo di oltre 100 studenti Erasmus, provenienti da varie località europee e in interscambio con l’Università di Palermo hanno avuto alloggio in uno degli 829 – repetita iuvant – borghi sotto sfruttati dalla Regione ma che ha messo in pratica delle politiche bottom up di autopromozione del territorio; qui, il progetto di valorizzazione enogastronomica e delle filiere produttive, contemplato fra le linee di azione previste da Strano.
Purtroppo però, i buoni esempi sono pochi in un contesto turistico con valori in perdita di circa il 9% di flusso turistico nel 2008.  In una serie di piccoli comuni e frazioni compresi nella fascia costiera occidentale (del palermitano) non riescono neppure a fornire i dati di monitoraggio delle presenze alberghiere durante lo scorso anno.
Neppure l’utilizzo di alcuni vecchi borghi marinari come location per qualche soap opera di media diffusione sembra avere portato alcun beneficio in termini di valorizzazione. Di contro, regioni quali la Toscana o l’Umbria, solo per citarne alcune, hanno fatto – e insistono nel fare – di  tale utilizzo uno dei punti di forza della propria immagine, sfruttando la visibilità di strumenti quali Film Commission regionali e riqualificazioni territoriali eco sostenibili, culturali e gastronomiche  capaci di fare ottenere, ben 32 alla prima e 9 alla seconda, bandiere arancioni, ovvero le certificazioni di qualità del Touring Club Italia, a fronte dell’unica siciliana assegnata a Sutera in provincia di Caltanissetta. 
Che dire, allora? Il tesoro non manca ma la nuova corrente politica saprà valorizzarlo e comunicarlo adeguatamente?