ROMA – Con la conversione del decreto legge 1 del 24 gennaio 2012, giovedì scorso alla Camera tra le polemiche, prosegue la “cura da cavallo” a cui gli ultimi due Governi hanno sottoposto l’Italia. Questa è solo l’ultima di una serie di otto manovre, equamente divise tra il governo Berlusconi IV e il governo Monti, che partono dall’evidenza che l’Italia è fuori dai parametri del Patto di stabilità e crescita.
Il problema principale è che, se si vuole l’unione degli Stati europei per farne una potenza economica a livello mondiale, bisogna anche che ci sia quanto più possibile omogeneità nelle finanze nazionali. Proprio per questo si è tentato di dar vita a regole comuni, inizialmente rigide, ma tutt’altro che rispettate, tanto da non comportare sanzioni ai trasgressori.
Ora la situazione è radicalmente cambiata, in quanto la crisi internazionale iniziata nel 2008 ha creato dei grossi scompensi all’interno dell’Unione. La situazione della Grecia, in particolare, ha messo in allarme la classe politica europea – mai veramente incisiva – e la rigidità del Patto di stabilità sta ora trovando la sua concretezza, con l’intervento decisivo del cancelliere tedesco Angela Merkel. Inizieranno così le sanzioni, promesse o veramente applicate, e l’ingerenza delle istituzioni europee nelle politiche economiche dei Paesi membri, Italia in primis, sarà sempre più forte (e più necessaria, proprio in ottica del mantenimento della moneta unica europea).
L’attuazione del Patto
Il Patto di stabilità e crescita, sottoscritto ad Amsterdam nel 1997 dai Paesi che avrebbero poi aderito all’Eurozona, serve a mantenere equilibrati i requisiti d’ingresso alla moneta unica, e prevede un rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo che non deve superare il 60 per cento. Ciò significa che i debiti che lo Stato ha contratto per coprire l’eccedenza delle uscite sulle entrate devono essere minori di quanto lo Stato stesso produce, al netto, però, della spesa per assistenza, sanità e pensioni. Inoltre, il deficit pubblico (la spesa che non è coperta dalle entrate) non deve essere superiore al 3% del Pil.
Lo scorso anno, il Consiglio Ecofin del 15 febbraio (la riunione dei ministri che si occupano dell’economia dei Paesi membri dell’Unione europea) e il Consiglio d’Europa del 24-25 marzo (che ha riunito i 27 capi di Stato e di Governo) hanno stabilito che questi obiettivi vanno raggiunti entro vent’anni. Al momento della presa di coscienza, però, l’Italia, non solo non era in regola con questi paramentri, ma addirittura sforava il limite del doppio. Il rapporto debito/pil nel 2011 si è mantenuto sempre intorno al 120 per cento, una cifra inaccettabile a livello continentale e che ha di fatto costretto l’esecutivo a lavorare costantemente sui conti pubblici, con notevoli conseguenze nella vita di tutti i giorni dei cittadini.
Il problema principale, che penderà come la spada di Damocle sui Governi italiani fino al 2031, è che bisognerà tagliare ogni anno 45 miliardi di euro di debito pubblico, a condizione, però, che si raggiunga, sempre ogni anno, il pareggio di bilancio. Un’enormità, ma che servirà ad arrivare fino alla soglia di 900 miliardi di euro di debito pubblico (che nel giugno 2010 era di 1.800 miliardi e un anno dopo di cento miliardi in più).
Le manovre del Governo italiano
Ciò che è stato fatto finora per poter raggiungere questo obiettivo è frutto del lavoro dell’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti e del suo successore ad interim, nonché premier, Mario Monti. Si è partiti dalla manovra disposta dalla legge promulgata il 12 luglio. Il primo intervento, tuttavia, è stato giudicato blando, soprattutto in considerazione del fatto che si puntava al pareggio di bilancio per il 2014 (quindi perdendo 2012 e 2013 per iniziare a tagliare il debito). Ed è arrivata quindi la “Manovra correttiva”, ancora con interventi importanti ma non decisivi per quel cambio di rotta chiesto dall’Europa.
L’intervento della Banca centrale ha cambiato l’inerzia del Governo italiano, che ha iniziato finalmente a parlare di tagli agli stipendi degli onorevoli e agli Enti locali (misura richiesta da più parti ma sempre ignorata dalla classe politica, restia a toccare se stessa e le lobby che la sostengono) con la Manovra bis, quella dello scorso settembre, che ha anche introdotto l’Iva al 21 per cento. Eppure, da quel momento è iniziata la parabola discendente del Governo Berlusconi IV: la lettera d’intenti all’Unione europea ha messo i paletti per le successive riforme economiche, ma ha anche segnato una sorta di commissariamento della politica finanziaria italiana. Il contenuto delle successive manovre, di cui quattro varate dal Governo Monti, è stato spesso presentato come “richiesta” dall’Europa, ma ha anche permesso di rivedere in positivo le previsioni per i prossimi mesi.
“Non è necessaria – ha affermato il premier in un recente incontro con il primo ministro spagnolo Mariano Rajoy – una nuova manovra per conseguire l’obiettivo del pareggio di bilancio nel 2013, alla luce delle nuove previsioni dell’Eurozona”.
La “cura da cavallo”, con tutto il peso delle polemiche sulle iniquità e le mancanze che finora ha registrato, potrebbe quindi avere i primi risultati.
Unione europea. Le misure economiche continentali
• Risoluzione del Consiglio europeo relativa al patto di stabilità e di crescita (firmato ad Amsterdam il 17 giugno 1997)
Inizia tutto con questo patto, chiamato anche Trattato di Amsterdam e nato per rinforzare il Trattato di Maastricht. Le principali novità riguardano il tetto di deficit e debito pubblici, che rispettivamente devono rimanere al di sotto del 3 e del 60 per cento del Prodotto interno lordo. È stato anche stabilito come intervenire nel caso in cui i Paesi sforino questi tetti, soprattutto nel caso del deficit.
• Euro plus (firmato a Bruxelles il 25 marzo 2011)
Durante una riunione del Consiglio d’Europa, che seguiva quella del Consiglio Eurofin, i capi di Governo hanno varato questa misura che li impegna in una serie di riforme che dovrebbero migliorare la forza economica e la competitività dei singoli Paesi membri. I promotori sono stati Francia e Germania.
• Fiscal compact (firmato all’interno del Mes, Meccanismo europeo di stabilizzazione, a Bruxelles il 2 marzo 2012)
Ultimo accordo che entrerà in vigore il 1° marzo 2013. Si è deciso di introdurre delle regole nazionali perché gli Stati membri raggiungano ogni anno il pareggio di bilancio o chiudano in attivo, pena una multa fino allo 0,1% del Pil. (rq)