Come è iniziata la sua collaborazione con il Ministero dell’Istruzione?
«Lavoro da sempre nella scuola, prima come docente e poi come dirigente, ma mi sono sempre interessata al sistema scolastico nel suo complesso. Ho cominciato a frequentare il ministero già all’inizio degli anni novanta per costruire i percorsi sperimentali nella mia scuola. Dal 2001 sono stata nominata nel gruppo tecnico ristretto per la costruzione del sistema di valutazione nazionale della scuola italiana. Dopo l’istituzione dell’INVASI come Ente autonomo di ricerca, sono stata membro del consiglio direttivo, commissario straordinario e componente del consiglio di indirizzo. Negli ultimi anni ho collaborato alla realizzazione della riforma dei licei».
Di cosa si occupa l’Istituto nazionale per la valutazione del sistema scolastico?
«Effettua verifiche periodiche sugli apprendimenti degli studenti e sulla qualità del sistema; coordina il Sistema Nazionale di Valutazione (SNV) e la Prova Nazionale all’esame conclusivo del I ciclo di istruzione. Assicura poi la partecipazione italiana a progetti di ricerca internazionale in campo valutativo come OCSE PISA, rappresentando l’Italia negli organismi competenti».
Qual è il criterio per la valutazione?
«In questi anni abbiamo costruito un sistema di rilevazione degli apprendimenti che permette di fare una comparazione su larga scala, utile al confronto tra le scuole italiane. Vengono adottate delle prove e delle modalità di correzione univoche, svolte con lo stesso tipo di protocollo; la rilevazione in alcune classi campione, controllata da osservatori esterni, fornisce un punto di riferimento alle altre scuole in modo che tutte possano avere un elemento comune di paragone e un punto di riferimento esterno con cui confrontarsi».
Cosa è emerso?
«Esiste una grande differenza di risultati nelle diverse aree del Paese: come già noto, il divario tra ragazzi che frequentano i licei e quelli che invece sono iscritti ai tecnici e ai professionali, ma è emerso che si verificano disuguaglianze soprattutto tra nord e sud, ed in particolare nel sud si registrano differenze anche tra istituti della stessa provincia, dello stesso ordine e grado. Questi dati che non sono esaustivi e si riferiscono solo ad alcuni ambiti precisi possono istituire dei campanelli d’ allarme. Il problema della scuola non è l’apparenza ma la sostanza. Dietro il 98% delle promozioni alla fine della terza media possono nascondersi quelle difficoltà che spesso sono la causa della dispersione nei livelli scolastici successivi. Le famiglie affidano alla scuola i propri figli perché pensano che acquisiranno e svilupperanno le conoscenze e le competenze che saranno necessarie per affrontare l’Università o per entrare nel mondo del lavoro. La scuola deve tornare ad essere un ascensore sociale».
Com’è possibile appianare il divario?
«Innanzitutto è importante che esistano dei dati. Senza vedere com’è la situazione è impossibile capire quali sono i punti di forza e di debolezza per migliorare. La differenza della varianza di risultati tra scuole è una cattiva notizia che può trasformarsi in una buona notizia. Se a parità di condizioni ci sono risultati così diversi, significa che ci sono ampi margini di miglioramento. Occorre lavorare insieme tra docenti, riflettere su quel che si fa, imparare da chi è più avanti, studiare ed essere in ricerca continua».
Quali difficoltà hanno gli studenti italiani?
«Nelle indagini internazionali i nostri studenti sono in difficoltà davanti alle domande aperte, quelle che dovrebbero essere più vicine alla nostra tradizione. Spesso non riescono a concludere un ragionamento, si bloccano davanti alle prima difficoltà senza tentare soluzioni e lasciando in bianco. Altre difficoltà riguardano la scrittura: uno studio sulla prima prova scritta agli esami di maturità, su un campione di elaborati rivisti da professori che non conoscevano personalmente gli studenti, ha permesso di considerare i livelli di competenza nelle dimensioni grammaticale, lessicale, testuale e ideativa. Sono emerse insufficienze preoccupanti: il 30% nei licei, il 70% nei tecnici, l’82% nei professionali. È chiaro che ci si riferisce ad un campione, ma il metodo usato dai docenti che hanno rivisto le prove avendo un Quadro di riferimento comune, elaborato in collaborazione con l’Accademia della Crusca, mostra risultati che invece non emergono dalle commissioni che hanno operato nelle scuole, dove il contesto incide molto di più delle competenze effettive».
Come si può migliorare l’insegnamento?
«Occorre puntare sulla formazione iniziale dei docenti e su una formazione in servizio efficace. Solo per fare un esempio: ci sono persone che insegnano italiano che non hanno nel proprio curriculum neanche un esame di lingua italiana, di linguistica o di storia della lingua italiana. Abbiamo appena dato il via al tirocinio formativo attivo (Tfa), che avvierà una nuova modalità di formazione dei giovani docenti».
Cosa ci può dire del Tfa?
«Uno dei primi atti di questo governo è stato proprio lo sblocco del Tfa, ossia il tirocinio nelle scuole. Si tratta di 475 ore in classe, un numero sufficiente per capire e giudicare non solo abilità e conoscenze, ma anche un’altra caratteristica fondamentale: l’attitudine all’insegnamento. Viviamo il paradosso per cui la professione che, più di ogni altra, avrebbe necessità di valorizzare e valutare questo aspetto, non lo prende nemmeno in considerazione. Nel nostro caso, data l’urgenza di tutta l’operazione, la prima cosa è riuscire ad individuare buone scuole e buoni tutor. Occorre però dare anche alcune indicazioni: per esempio il giudizio finale dovrebbe fondarsi su elementi verificabili, raccolti durante le ore in classe. Si tratta, inoltre, di un’occasione per riprendere un rapporto stretto fra scuola e università e per capitalizzare il patrimonio di conoscenza, cultura, esperienza che un insegnante accumula nel corso della sua vita professionale».
Servono nuove forze al sistema scolastico italiano?
«Nuove risorse umane sono importanti per ogni ambiente di lavoro. Ad oggi la scuola conta circa 800.000 insegnanti e 300.000 unità di personale Ata, per cui occorre riorganizzare e valorizzare il personale esistente e al contempo operare uno studio di fattibilità per le nuove assunzioni. Penso che si possa far molto dentro la scuola perché è possibile riorganizzare il sistema. C’è bisogno, però, di lavorare sulla formazione continua del corpo docenti e sulla valorizzazione delle loro capacità».
Lei in un anno cosa può fare per migliorare questo stato di cose?
«La prima cosa è lavorare sui docenti, facendo partire e realizzando in modo efficace il tirocinio formativo attivo in cui saranno coinvolti migliaia di giovani laureati. I tutor, scelti per capacità e preparazione, seguiranno gli aspiranti docenti e lavoreranno in raccordo con l’università. Se ben svolto il Tfa potrà migliorare il rapporto tra scuola e mondo accademico, mettendo a frutto l’esperienza di insegnanti che lavorano da anni e che adesso possono finalmente trasmettere le loro conoscenze ai giovani.
Un altro tema su cui possiamo lasciare un segno è il consolidamento del sistema di valutazione nazionale, inaugurato nel 2001, in modo da aiutare le scuole ad avere un confronto con gli altri istituti. Bisogna creare uno “specchio” in cui guardarsi e far capire ai dirigenti scolastici che avere un punto di paragone esterno aiuta a fare meglio il proprio lavoro. Forse ci vorrà del tempo ma solo così si possono mettere in moto percorsi virtuosi.
Infine vorremmo potenziare l’istruzione tecnica e la formazione professionale. Questo tipo di istruzione ha fatto la fortuna dell’Italia nel secondo dopoguerra e può ancora oggi produrre energie, capacità imprenditoriali e possibilità di lavoro. In una regione come la Sicilia potrebbe essere centrale per lo sviluppo».
Quando sarà bandito un nuovo concorso?
«Il concorso è fra le priorità indicate dal Ministro. La prima cosa da sottolineare è che il concorso non sarà più un concorso abilitante come è stato per il passato. È necessario ripensare alle modalità con cui reclutare i docenti che entreranno nella scuola. È molto importante distinguere l’abilitazione alla professione dalle forme di reclutamento, se non bandiremo con periodicità biennale i concorsi per quelle classi di concorso per cui esiste la necessità, con relative graduatorie al massimo biennali, non verremo mai a capo della matassa e l’anzianità di servizio continuerà a guidare le immissioni in ruolo».
Esiste un modo per premiare il merito tra i docenti?
«La valutazione dei docenti ed il riconoscimento della loro professionalità, con premialità e sviluppi di carriera, è una delle questioni più importanti e più difficili che abbiamo da tempo in campo. Un percorso di carriera dei docenti può essere ipotizzato seriamente solo se ritorna al primo posto il tema dell’aggiornamento, della riqualificazione professionale e della valorizzazione delle competenze dei docenti che costituiscono il perno della scuola».
Curriculum Elena Ugolini
Elena Ugolini nasce a Rimini nel 1959. Sposata e madre di quattro figli. Si laurea con lode alla facoltà di Filosofia dell’Università di Bologna e inizia ad insegnare al Liceo Malpighi, di cui diventa preside nel 1993. Nel 1998 è chiamata alla "Commissione dei saggi" dal Ministro Berlinguer. Con il Ministro Moratti lavora al nuovo sistema di valutazione della scuola italiana e dal 2002 inizia la sua lunga collaborazione con l’INVALSI. Nel 2008 con il Ministro Gelmini fa parte della Cabina di Regia per la riforma dei licei. A novembre 2011 viene nominata Sottosegretario all’Istruzione.