Qual è stata l’esperienza più rilevante della sua carriera professionale?
“L’esperienza che maggiormente mi ha coinvolto, è stata sicuramente quella legata alla stagione di Mani Pulite, nell’ambito della quale il ruolo dei giornali è stato importantissimo. In alcuni casi, oserei dire che il ruolo del giornalismo è stato addirittura determinante. All’epoca ero condirettore del Corriere della Sera. Si è assistito all’avvento di un nuovo modo di fare informazione. Non mi pento delle scelte fatte. Ritengo tuttavia che i giornali, in quel periodo, si siano troppo allineati sulla posizione dei magistrati. Avrebbero dovuto tener conto maggiormente di una regola che sta alla base della nostra professione: quella per cui tutte le fonti, anche le più autorevoli, vanno controllate e verificate.
Possiamo dire che chi, come lei, ha svolto tante attività, è un eterno precario?
“In un certo senso sì. Ogni volta che si intraprende una nuova esperienza lavorativa bisogna imparare a fare qualcosa di nuovo. Per me, che da decenni svolgo la professione di giornalista, il nuovo incarico ricoperto adesso alla Fieg è un nuovo percorso, appena intrapreso e caratterizzato dal continuo apprendimento”.
Tornando a parlare di Mani Pulite, secondo lei c’è un’analogia tra quella stagione politica e quella attuale?
“Certe volte ho l’impressione che, nei confronti dell’attuale governo, ci sia da parte dei giornali un eccesso di adesione e la mancanza di una critica costruttiva. Ritengo che sia stato un gran bene, per il nostro Paese, l’avvento del Governo Monti: ha contribuito a migliorare l’immagine dell’Italia all’estero e, sul piano della finanza pubblica, ha fatto delle mosse che erano indispensabili. Nutro una grande stima per il presidente del Consiglio Mario Monti, ritengo tuttavia che gli atteggiamenti acritici non siano mai positivi: l’informazione dovrebbe guardare al nuovo governo con un occhio più critico. Per il carattere critico della mia scrittura, posso dire di aver litigato con tutti i presidenti del Consiglio che si sono succeduta da metà degli anni Ottanta a oggi, pur nutrendo grande stima per la maggior parte di loro”.
Quale altra esperienza, della sua lunga carriera, ricorda con particolare piacere?
In diverse occasioni mi è stato affidato il compito di dirigere un giornale per “risanarlo” e trovare opportune soluzioni al superamento di un periodo di crisi. In questi casi, ho ricoperto contemporaneamente il duplice ruolo di giornalista e manager.
Quando sono stato chiamato a dirigere il Messagero, la Stampa e l’Ansa, ho preso delle iniziative che hanno notevolmente contribuito al risanamento delle rispettive testate giornalistiche: questo è stato per me motivo di notevole gratificazione personale e professionale. Non c’è niente di meglio di vedere che il giornale che si dirige va bene. Ma anche di vedere che la gente lavora in un clima sereno e con la tranquillità legata alla stabilità del proprio lavoro. Quando parlo di risanamento, non mi riferisco solo a un miglioramento di carattere numerico o quantitativo. Mi riferisco alla realizzazione di un prodotto che, migliorato qualitativamente, sta sul mercato in maniera diversa”.
Alcuni giornalisti non condividono l’idea di conciliare l’attività giornalistica e quella manageriale, rinunciando a svolgere funzioni legate al riordino organizzativo. Cosa ne pensa?
“Il compito del direttore di una testata è quello di fare il giornalista e il manager allo stesso tempo. Sono due attività che vanno di pari passo. Così come oggi non si possono distinguere i contenuti dalle tecnologie, allo stesso tempo non si può pensare di tener separato l’aspetto manageriale-editoriale da quello della produzione dei contenuti. Ci sono state, nella storia del giornalismo italiano, firme di grande prestigio, come Indro Montanelli, che hanno svolto con grande abilità il lavoro di editorialista, trascurando gli aspetti di carattere organizzativo. Ma ci sono state anche figure, come quelle di Luigi Albertini, passati alla storia non solo come grandi firme, ma anche per le straordinarie qualità manageriali”.
Quali sono le novità che hanno caratterizzato le attività delle case editrici nell’ultimo triennio?
“Le imprese editrici, da un lato, hanno razionalizzato i costi per migliorare l’efficienza e accrescere la produttività, dall’altro lato, si sono confrontate con un ambiente sempre più multimediale cercando di diversificare la propria offerta, per adeguarsi alle nuove modalità di fruizione dell’informazione”.
Cos’è cambiato negli ultimi anni per quanto riguarda i finanziamenti pubblici all’editoria?
“Se un tempo le risorse venivano distribuite a pioggia, in maniera quasi indiscriminata, adesso non è più così. Ritengo che i contributi pubblici debbano essere indirizzati ai giornali veri, secondo criteri ben precisi: in base alle copie vendute (l’attuale governo sta già facendo passi avanti in questa direzione) e in base al numero dei dipendenti con regolare contratto”.
Quali dati emergono dall’ultimo studio Fieg sulla stampa in Italia?
“L’editoria cartacea attraversa un periodo di crisi, ma non mancano le opportunità di sviluppo. Sono più di 22 milioni le persone che ogni giorno leggono i quotidiani, quasi 33 milioni i lettori di periodici, circa 6 milioni di utenti leggono i siti web dei quotidiani (la metà di coloro che in un giorno medio entrano in Internet). I dati dimostrano che la situazione non è tragica: per venire fuori dalla crisi gli editori devono valorizzare il loro patrimonio di credibilità e autorevolezza, e rispondere alle sollecitazioni che provengono dal pubblico dei lettori”.
Il web e i “new media” come occasione di sviluppo
Il parziale trasferimento dalla carta al web potrebbe rappresentare la soluzione alla crisi dell’editoria?
“Il fatturato web sta aumentando parecchio, ma i ricavi derivanti dagli abbonamenti e dalla pubblicità sono ancora inferiori a quelli provenienti dalla carta stampata. Quello che si è perso, in termini di ricavi, nella carta stampata non è compensato dal web. Una cosa però è certa: le aziende editoriali devono declinare la loro offerta su più fronti. Quale sarà il punto di equilibrio tra vecchi e nuovi strumenti di informazione lo vedremo nei prossimi anni”.
I new media rappresentano un’occasione di sviluppo?
“Rappresenteranno una reale occasione di sviluppo se i giornali saranno in grado di valorizzare il patrimonio di qualità e affidabilità che li contraddistingue. La scelta, per le grandi testate nazionali, di declinare i propri contenuti anche sul web risulta vincente. In Italia, l’organizzazione del lavoro dei giornali è ancora legata ai ritmi e agli strumenti del passato: per sopravvivere, gli editori devono affrontare la rivoluzione multimediale con estrema consapevolezza e senza superficialità. Parlare solo di Internet non è più sufficiente. Un’altra rivoluzione, già in corso, riguarda la massiccia diffusione di dispositivi mobili attraverso i quali il cittadino può navigare in Internet, consultare materiale audio e video, disporre di uno strumento di accesso all’informazione in tempo reale. Il telefono cellulare, nelle sue versioni evolute, è ormai un vero e proprio strumento di informazione. L’uso di tablet e smartphone sta entrando rapidamente nelle abitudine dei lettori. Gli editori devono essere altrettanto rapidi nell’adeguarsi alle esigenze di un pubblico che cambia abitudini”.
Il giornalismo partecipato è un indice di democrazia
Il moltiplicarsi di contenitori radio-televisivi in cui si dibatte non è sintomo di un accresciuto bisogno, da parte dei cittadini, di tenersi informati?
“Certamente sì. Spesso ho guardato con paura ai dati relativi alla diminuzione della diffusione dei quotidiani. Guardo però con ottimismo al fatto che la domanda di informazione, nel suo complesso, continui a crescere.
La partecipazione attiva dei cittadini all’informazione è indice di democrazia. I recenti episodi che hanno coinvolto il mondo arabo ci dimostrano che ogni passaggio dalla dittatura alla democrazia è segnato, sia da un migliore accesso all’informazione da parte di un numero sempre più ampio di cittadini, che dalla partecipazione di un ampio numero di soggetti alla creazione d’informazione. Sempre più spesso si sente parlare di “giornalismo partecipato”. Se un tempo i giornali e le agenzie di stampa rappresentavano il principale canale di informazione, adesso l’informazione è un grande canale in cui confluiscono più rivoli”.
Come faranno i grandi quotidiani a sopravvivere in un mondo dove le fonti di informazione si moltiplicano?
“Valorizzando il loro patrimonio di affidabilità e credibilità. è fondamentale distinguere l’informazione spontanea e non controllata, da quella fornita dalle testate giornalistiche che, nel rispetto di una precisa deontologia professionale e di regole di rigore nella produzione dei contenuti, forniscono un’informazione credibile e attendibile. Intanto le testate hanno un obbligo di carattere etico nei confronti del lettore. Inoltre, se non divulgassero un’informazione corretta e veritiera, perderebbero lettori e, di conseguenza, perderebbero gli inserzionisti pubblicitari. Questo meccanismo è garanzia della qualità dell’informazione giornalistica”.