PALERMO – Studenti, disoccupati, poverissimi o lavoratori in nero? Sono queste le possibilità di interpretazione dei dati sui 238 mila under-25 in meno che ha registrato l’erario, a livello nazionale. Meno lavoratori, quindi, ma anche più poveri: si stima infatti che, sempre a livello nazionale, il reddito di chi invece può dichiarare qualcosa al fisco sia sceso di 642 euro a contribuente dal 2009 al 2011 (adattando il costo della vita).
In Sicilia, la situazione è meno grave rispetto ad altre regioni: 350 euro in meno a persona. Ma si piange con un solo occhio, perché il reddito medio non è il più basso tra le regioni del Centro-Sud – stanno peggio Sardegna, Calabria, Basilicata e Puglia – e addirittura la variazione è minore solo a quella di Liguria, Trentino-Alto Adige e Lazio. Tutte le altre regioni, quindi, hanno registrato una decurtazione pesante che pesa anche alle casse del fisco, perché una retribuzione più bassa significa anche meno contributi.
I dati sono stati resi noti in un’inchiesta del Sole 24 Ore da Francesca Barbieri, che analizza le informazioni fornite dal dipartimento delle Finanze all’agenzia Datagiovani. Si parte dal presupposto che per poter dichiarare qualcosa al fisco bisogna superare i 2.840,51 euro mensili lordi di reddito, a cui vanno detratti i carichi della famiglia. La domanda è quindi se questi contribuenti “scomparsi” siano sottopagati, quindi non arrivano a questa quota minima di reddito, o in nero. O, semplicemente, siano studenti o disoccupati, pertanto gravino sul bilancio della famiglia d’origine.
Il problema del lavoro in nero è sottolineato da più parti. Ne parlano nell’articolo del Sole 24 Ore Luigi Campiglio, ordinario di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, e Maurizio Del Conte, docente associato alla Bocconi di Milano. “Soprattutto per i giovani – sottolinea quest’ultimo – l’alternativa alla disoccupazione è il lavoro invisibile, che li fa diventare invisibili anche al fisco. Occorre prendere coscienza del fatto che non è più sostenibile il costo sociale ed economico di un mercato del lavoro in cui la fascia più giovane e potenzialmente produttiva della popolazione o non lavora o lavora nell’ombra”.
È per questo che bisognerà al più presto attivare le misure contenute nella legge di stabilità promulgata il 12 novembre 2011, l’ultima del governo Berlusconi. L’articolo 22, infatti, prevede delle norme per “promuovere l’occupazione giovanile” che riguardano la pressione fiscale sulle imprese e, però, non sono ancora state attuate. E, intanto, i dati sulla disoccupazione continuano a salire. Proprio pochi giorni fa, l’Istat ha comunicato l’aumento della percentuale dei giovani senza lavoro al 35,9 – dato che alla fine del 2010 non arrivava al 28% – che, confrontato con il 22,4% nell’Ue a 27 e al 21,6% nell’Eurozona, diventa un macigno che la generazione nata negli anni ottanta non riesce a sostenere.