Oggi puntata numero 23 dedicata interamente all’universo femminile
Stavolta è alla salute della donna che vogliamo dare voce e lo faremo raccontando le iniziative che hanno scandito la Giornata internazionale dell’aborto legale e sicuro, celebrata lo scorso 28 settembre.
A Palermo è comparso uno striscione: ‘Aborto sicuro per non morire. Contraccezione per decidere’. Poi, una performance, con otto donne con indosso camici ospedalieri sporchi di rosso per denunciare il continuo aumento degli aborti clandestini.
Nella giornata di azione globale per un aborto libero, sicuro e gratuito, le donne di ‘Non una di Meno Palermo’ sono scese in piazza, davanti la sede della presidenza della Regione Siciliana, per riaffermare il diritto all’autodeterminazione e chiedere un intervento da parte dell’assessorato regionale alla Salute, Ruggero Razza, per l’applicazione della legge 194.
In Italia, secondo la Relazione contenente i dati 2017 sull’attuazione della legge 194, dal 1983 l’interruzione volontaria digravidanza è “in continua e progressiva diminuzione in Italia”.
Negli ultimi dieci anni il numero dei medici obiettori di coscienza è aumentato di più del dieci per cento e “in Sicilia la percentuale di obiettori è pari all’83,2%”.
“A oltre 40 anni dalla legge 194, siamo qui oggi per urlare a gran voce che vogliamo molto più della 194! – afferma Roberta Ferruggia di “Non una di Meno Palermo” -. Siamo qui per chiedere consultori in ogni quartiere come presidio medico e politico, l’accesso ad una contraccezione gratuita, l’applicazione delle linee guida che regolano l’aborto farmacologico. è la Regione che, recependo le indicazioni nazionali, ha il dovere di far sì che vengano garantite su tutta l’isola. è necessario che la pillola abortiva sia accessibile e senza ospedalizzazione! Abbiamo chiesto un’audizione alla Commissione Sanità ma ad oggi non abbiamo avuto alcuna risposta e questo è l’ennesima testimonianza di quanto le istituzioni regionali siano non curanti delle nostre esigenze”.
Facciamo un passo indietro e spieghiamo meglio i fatti.
La circolare del ministero della Salute che ha di fatto cancellato l’obbligo di ricovero per l’aborto farmacologico risale all’agosto del 2020. Le nuove linee guida hanno spostato il limite per l’uso dei farmaci da 7 a 9 settimane di gestazione e consentito la somministrazione in ambulatorio o consultorio. Ad attivarsi in questa direzione, però, sono state solo tre Regioni hanno iniziato ad attivarsi (Toscana, Lazio e presto Emilia-Romagna). Tutte le altre, Sicilia inclusa, sono ferme.
In altri Paesi del mondo, la situazione ha contorni di gran lunga più drammatici. Dopo il Texas che, con la sua legge-vergogna che vieta l’aborto anche in caso di incesto, ha indignato il mondo intero, in America latina le donne sono scese in piazza per rivendicare il diritto all’aborto, pratica vietata nella maggior parte dei paesi della regione e per la quale centinaia di donne stanno scontando pene detentive. Dal Messico al Perù, passando per El Salvador, Cile e Colombia, le manifestanti, indossando il famoso foulard verde simbolo della lotta per la legalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza, hanno sventolato cartelli su cui si leggeva “Aborto legale ora” o “diritto di decidere”.
Ad El Salvador la legge vieta l’aborto in ogni circostanza e le pene possono arrivare fino a otto anni di carcere. Diciassette donne sono attualmente in carcere accusate di “omicidio aggravato” dopo aver cercato cure ostetriche di emergenza. In risposta, centinaia di donne salvadoregne hanno presentato un disegno di legge che consente l’aborto a determinate condizioni piuttosto restrittive.
A Città del Messico diverse decine di donne hanno manifestato, poche settimane dopo che la Corte Suprema ha dichiarato incostituzionale la criminalizzazione dell’aborto, indignate per le violenze contro le donne nel loro Paese: 672 femminicidi sono stati commessi tra gennaio e agosto, in base ai dati ufficiali.
Secondo un rapporto del collettivo La Mesa por la Vida y la Salud de las Mujeres, in Colombia dal 2005 circa 205 donne sono state condannate per aborto. Nel Paese l’aborto è legale solo in caso di malformazione del feto, rischio mortale per la madre o a seguito di abusi sessuali. Centinaia di donne si sono radunate fuori dal Congresso a Bogotà per chiedere un aborto libero da questi vincoli.
“Uno stato che non concede il diritto all’aborto è uno stato femminicida”, recitava un altro cartello sorretto da un gruppo di giovani donne che hanno chiesto il diritto all’aborto a Lima, in Perù. Una richiesta che il nuovo presidente peruviano di sinistra, Pedro Castillo, conservatore sui temi sociali, ha subito respinto durante la sua recente campagna elettorale.
Twitter: @PatriziaPenna