La riforma Nordio continua a far discutere. Al netto delle polemiche, il dibattito si sta progressivamente spostando sull’opportunità, in sede di conversione del testo di legge, di migliorarlo, di smussarlo, tenendo conto del contributo di opposizioni ma anche degli “addetti ai lavori”.
Un punto di vista certamente autorevole è quello di Giuseppe Busia, presidente Autorità nazionale anticorruzione (Anac) che, in una intervista al Quotidiano di Sicilia, puntualizza la sua volontà di offrire al governo e al sistema giustizia un contributo non polemico ma costruttivo.
Presidente, un suo giudizio sull’abrogazione dell’abuso d’ufficio operato dal DDL Nordio. Questa abrogazione può essere considerato un limite al controllo del principio di legalità dei pubblici ufficiali?
“È doveroso dire, in premessa, che noi non ci schieriamo con nessuna parte politica: il nostro è un parere tecnico, con riferimento a reati o fattispecie che rientrano nel nostro ambito di operatività e, ci tengo a precisarlo sulla base di un’esplicita richiesta venuta dalla Commissione giustizia della Camera, che sta esaminando i disegni di legge presentati da autorevoli parlamentari dal centro-destra, che prevedono l’abrogazione dell’abuso d’ufficio, analogamente a quello ora approvato dal Governo. Il mio intervenire è figlio, quindi, di una richiesta parlamentare e rientra nella doverosità dell’Autorità.
Le finalità che muovono il DDL del Governo, come pure quelli dei parlamentari cui facevo riferimento, sono condivisibili. C’è una necessità di tipizzare, di chiarire i confini del reato, di evitare che ci siano incertezze normative e che sia utilizzato per sanzionare tutti i comportamenti che, in senso lato, non vanno nella direzione del buon andamento previsto dall’art. 97 della Costituzione. L’abuso d’ufficio va circoscritto ai casi puntuali in cui si viola la legge, lo si fa intenzionalmente e si produce un danno ingiusto nei confronti di un determinato soggetto o un vantaggio ingiusto a favore di un altro. La finalità di definire la fattispecie è giustissima, anche perché il diritto penale non può tollerare incertezze normative. È una regola che dovrebbe valere sempre, ma nel diritto penale il principio di tassatività deve essere particolarmente stringente, in coerenza con quanto previsto dalla Costituzione”.
L’abuso d’ufficio è già stato oggetto di numerosi interventi normativi. Cos’è cambiato?
“L’ultimo intervento normativo, in ordine di tempo, è del 2020 e si è trattato di un intervento particolarmente puntale. Nonostante ciò, una parte della giurisprudenza è tornata a un’interpretazione tesa a ricomprendere nel reato non solo le violazioni di specifiche disposizioni normative, ma anche dei canoni di buon andamento dell’amministrazione, rendendo così nuovamente indefiniti i confini dell’abuso d’ufficio. Occorre dunque circoscrivere il reato, ma è sbagliato abrogarlo, perché punisce comportamenti particolarmente gravi, che altrimenti rimarrebbero privi di sanzione penale. Lo ha confermato la Cassazione nelle settimane scorse, ricordando che solo l’abuso d’ufficio sanziona il caso di un componente di una commissione di concorso che non si astiene e favorisce la propria amante. Si tratta di un caso punibile solo dall’abuso di ufficio perché non vi è scambio di denaro, che configurerebbe la corruzione, e ai concorsi pubblici non si applica il reato di turbativa d’asta. Insomma: se ho una macchina di cui ho bisogno ma che non funziona bene, non la butto via, ma la riparo in modo che svolga al meglio la sua funzione, nel caso di specie, scrivendo la norma in maniera più puntuale”.
L’indirizzo internazionale e quello europeo sembrano andare in una direzione diversa da quanto previsto dal DDL Nordio…
“Da un lato esistono alcune Convenzioni, come quella contro la corruzione delle Nazioni Unite di Merida, che hanno previsto e richiesto agli Stati di valutare questa fattispecie e introdurla come fattispecie penalistica. A questo si lega la recente proposta di direttiva europea, presentata nel maggio scorso, che parte dal presupposto che tutti i paesi membri hanno un reato di questo tipo e quindi chiede di introdurre e armonizzare questa fattispecie. Per tale ragione, ove la abrogassimo, andremmo in direzione opposta a quella in cui si sta muovendo l’Unione Europea. Avere presidi efficaci anti-corruzione ed essere, come noi siamo, all’avanguardia dal punto di vista ordinamentale nella prevenzione e repressione della corruzione ci avvantaggia, anche dal punto di vista degli investimenti e della crescita economica, perché la corruzione è un male che produce danni economici ingentissimi ma, soprattutto, produce un danno ancora più ingente, che è la sfiducia nelle istituzioni. Questo, perché nel momento in cui i cittadini vedono che un’istituzione non persegue l’interesse pubblico ma devia da esso, e che al suo interno ci sono soggetti che fanno l’interesse dei singoli non quello generale, è inevitabile che ci sia sfiducia nelle istituzioni”.
A proposito di sfiducia, l’approvazione definitiva dell’abrogazione genererebbe, come effetto minimo, l’archiviazione di tutti i procedimenti in essere. Questo potrebbe creare un aumento del già alto senso di sfiducia nei confronti della giustizia e del concetto di certezza della pena…
“Oggi, un cittadino che denuncia, come nel caso di cui ho parlato, un favoritismo occorso all’interno di un concorso pubblico, ha la ragionevole aspettativa che tale comportamento sia punito con la sufficiente severità. A seguito dell’abrogazione dell’abuso di ufficio tale comportamento non si configurerà più in un reato e pertanto non sarà più sanzionabile in sede penale. Questo elemento, inevitabilmente, porterà tanti a sentirsi meno tutelati, perché il sapere che tali comportamenti non riceveranno adeguata sanzione. E, allo stesso tempo, chi intende fare favoritismi ai concorsi, potrà contare su una maggiore libertà di azione. Non è un buon messaggio, ma non credo che questo sia un effetto voluto dal Governo. Proprio per questo, è necessario trovare il modo di tipizzare, senza buttare via in toto una disposizione utile, che è solo necessario far funzionare al meglio. I tanti processi che partono e i tanti casi di archiviazione sono, da un lato, il segno di un serio controllo giurisdizionale, quindi positivo, ma dall’altro di una fattispecie che lascia ampi margini nell’individuazione nelle fattispecie di reato. Bisogna quindi puntualizzare meglio. La finalità è condivisibile ma lo strumento scelto, quello dell’abrogazione, è sbagliato, perché il risultato ottimale può essere ottenuto con la specificazione, puntualizzazione e migliore scrittura della disposizione normativa”.
Luca Poniz, è stato presidente dell’Associazione nazionale magistrati, cui aderisce il 96% circa dei magistrati italiani. Attualmente è componente del Comitato direttivo centrale dell’Anm.
Partiamo da una valutazione complessiva. Ritenete che sia un buon passo o un passo falso?
“Questo primo passo desta più di un allarme, come già dichiarato da giuristi e docenti in diverse occasioni in questi ultimi giorni. Si tratta di un passo da cui traspare una diffusa sfiducia nella giurisdizione. Appare sorprendente che ciò sia espresso da un ministro della Giustizia e, ancor di più, da parte di un ministro che ha trascorso nella giurisdizione per quarant’anni. È una sfiducia che serpeggia diffusamente: quando si modifica significativamente l’organo che valuta, e le stesse modalità valutative delle prove, nei procedimenti cautelari; ancora più vistosamente, quanto si ritiene che l’abuso d’ufficio nelle mani dei magistrati non funzioni e perciò debba essere abrogato. Tutto ciò denota una sfiducia profonda nella giurisdizione soprattutto quando questa si concreta nel controllo sui principi di legalità, e ritengo che ciò sia profondamente sbagliato”.
Abuso d’ufficio. Qual è la vostra valutazione?
“Non si rimodula una fattispecie di reato che negli ultimi anni è stata già riformulata ben tre volte e i cui ambiti applicativi sono già stati ampiamente ridotti, ma si sceglie di cancellarla. Intanto è necessario dire che ciò non si spiega proprio in relazione agli effetti che produce sulle sentenze che l’hanno già accertata. Quando saranno cancellate le condanne già passate in giudicato, si assisterà alla cancellazione di reati ‘odiosi’, ciò in cui consiste l’abuso del potere. Si badi bene, qui non c’entra la ‘politica’ Il reato di abuso d’ufficio si applica a tutti i titolari di funzioni pubbliche, compresi i magistrati. L’idea che questo reato possa essere un grimaldello a disposizione della magistratura nei confronti del potere amministrativo denota, ancora una volta, sfiducia nella giurisdizione. Per mia esperienza diretta, posso dire che il 95% delle notizie di reato per abuso d’ufficio proviene da denunce cittadini, nei confronti di amministratori pubblici – non necessariamente politici – funzionari pubblici, funzionari dei tribunali e magistrati. Questo spiega il gran numero di procedimenti che sono iscritti e spiega anche la ragione per cui moltissimi sono archiviati: questo è sicuramente un buon segno perché denota la qualità del lavoro della magistratura. Dopo questo DDL, tutti i procedimenti in essere dovranno essere archiviati, senza alcun vaglio”.
Questo può aumentare il già alto senso di sfiducia nella giustizia e la mancanza di certezza della pena?
“Certamente, perché con la cancellazione delle sentenze di condanna dovuta a questa norma, si creerà una sorta di sconcerto nel cittadino. Ma non solo. L’idea di fondo è togliere alla giurisdizione uno strumento che non è di interferenza o di sovrapposizione, ma di verifica della correttezza dell’esercizio del potere pubblico negli spazi in cui lo stesso non ha margini di discrezionalità. Questo è, ne prendiamo necessariamente atto, ma riteniamo altrettanto legittimo porre all’attenzione dell’opinione pubblica quali sono i guasti che si possono determinare a seguito di una scelta normativa seppur legittima ma non priva di conseguenze che già oggi si possono facilmente immaginare”.
“Quando parliamo di giustizia, dobbiamo farlo pensando a un sistema in piena sinergia con l’economia e la società. È ciò che ha mosso i nostri interventi, a cominciare da quello sull’abuso d’ufficio, una fattispecie ormai orientata più a soddisfare certi esercizi ‘mediatico-giudiziari’ che a combattere il malaffare. La ritrosia nell’emettere atti assolutamente leciti, ossia la ‘paura della firma’, ha avuto conseguenze economiche dannose specie per chi ha diritto di ricevere dalla Pa degli adempimenti in tempi ragionevoli”. La pensa così il vice ministro della giustizia Francesco Paolo Sisto che ieri è intervenuto all’evento Futuro Direzione Nord al Palazzo delle Stelline di Milano.
“Stessa logica – ha proseguito – per la fattispecie del ‘traffico di influenze’, che noi abbiamo tipizzato anche qui per rispondere alle richieste dei sindaci e degli amministratori. Altri passaggi importanti sono quello sull’informazione di garanzia, che recupera la sua vocazione originaria abbandonando lo status di ‘marchio rosso’ sull’indagato, e quello sulle intercettazioni. Poi c’è il capitolo sulle misure cautelari, finalizzato ad evitare molte catture che, in passato, si sono rivelate infondate. In tutto questo, il governo ha in previsione l’incremento del numero dei magistrati e del personale amministrativo”, ha concluso.
“Abbiamo trasferito la materia amministrativa sul piano penale. è intollerabile”. Vincenzo De Luca, presidente della Regione Campania, spiega in questi termini il motivo per cui a suo avviso sulla cancellazione dell’abuso d’ufficio è auspicabile andare avanti.
“Dobbiamo difendere con i denti l’autonomia e l’indipendenza piena della magistratura. Questo è un bene per l’Italia e, in un territorio come questo, avere magistrati che hanno il coraggio di fare il proprio dovere senza farsi intimidire è una garanzia per i cittadini. Tutto il resto dev’essere messo in discussione perché non funziona nulla”, ha concluso.