Economia

Accertamento fiscale e contribuente “irragionevole”

ROMA – A norma dell’articolo 39 del D.P.R. 600/1973, l’ufficio procede alla rettifica dei redditi dichiarati quando gli elementi indicati nella dichiarazione sono diversi da quelli risultanti dalla contabilità.
L’esistenza di ricavi non dichiarati, in base a quanto previsto dal primo comma dello stesso articolo, può emergere, in modo diretto, attraverso il confronto di quanto dichiarato con i documenti contabili dell’azienda, oppure con le risultanze di verbali, documenti, questionari ed altri documenti in possesso dell’ufficio.

Può emergere, però, anche in maniera indiretta. E ciò accade quando le omissioni sono desunte da presunzioni gravi, precise e concordanti.
L’ufficio, comunque, in base a quanto previsto dal secondo comma del citato articolo 39 del D.P.R. 600/73, può determinare un reddito superiore a quello dichiarato in maniera induttiva, principalmente quando non è stata tenuta la contabilità oppure quando le omissioni e le false indicazioni accertate sono tali da rendere inattendibile l’intera contabilità.

Queste regole, previste in materia di imposte dirette, sono in linea generale applicabili anche in materia di accertamento dell’imposta sul valore aggiunto, così come previsto dall’articolo 54 del D.P.R. 633 del 1972.
Fatta questa premessa, si vuole qui analizzare la legittimità di un accertamento che conduce alla determinazione di maggiori ricavi e di maggiori imponibili ad Iva, attraverso l’utilizzo delle cosìddette “percentuali di ricarico”.

Al riguardo, la Corte di Cassazione, con diverse sentenze (cfr. tra le altre l’ordinanza 27 aprile 2018, n. 10207 e le sentenze n. 19213 depositata il 2 agosto 2017, n. 5157 del 16/3/2016, e n. 7863 del 27/4/2015), ha ritenuto che la “percentuale di ricarico” rappresenta solo una presunzione semplice la quale, se utilizzata esclusivamente come un mero dato numerico, in mancanza di elementi che possano legittimare l’accertamento induttivo, da sola non basta, dovendo essere, invece, supportata da altri elementi tali da rendere la stessa percentuale assistita dai requisiti di gravità, precisione e concordanza.

Diverso è il caso in cui la presunzione di ricavi omessi risulti supportata dalla mancanza di valide spiegazioni da parte del contribuente, ma principalmente dalla antieconomicità e dalla irragionevolezza del comportamento del contribuente.

è il caso affrontato, sempre dalla Corte di Cassazione, con l’ordinanza n.843 del 19/1/2016 (e con altre sentenza come le numero 10802/2002, 21536/2007, 13734/2015) nel quale il contribuente ha dichiarato, per cinque anni di seguito, un reddito di gran lunga inferiore a quello del suo unico dipendente. Un fatto, quest’ultimo, che ha portato a ritenere illogica tale condotta e, quindi, tale da legittimare la presunzione di evasione.