PALERMO – “Ho percepito un certo scetticismo sulla ricerca effettuata nel sottosuolo dei Monti Iblei già in fase di presentazione alla cabina di regia per l’emergenza idrica voluta dalla Regione Sicilia. Da allora, più nessun contatto. Nel frattempo, abbiamo trovato altre falde: pubblicheremo lo studio a inizio 2025”. Comincia quasi con un filo di rassegnazione l’intervista con il professor Lorenzo Lipparini, geologo dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e tra i firmatari dello studio che ha individuato una ingente quantità di acqua nel sottosuolo della provincia ragusana.
Risorse idriche che basterebbero a servire l’Isola – come fonte autonoma – “per almeno quindici anni”. Ma dietro il silenzio della Regione, in realtà, si celano manovre politiche che allo stato attuale hanno rivolto l’attenzione ai dissalatori. “Il progetto – confermano a denti stretti funzionari interni proprio al sistema idrico che richiedono l’anonimato – dovrebbe ricevere un finanziamento iniziale per un pozzo”.
È necessario tornare indietro allo scorso novembre, quando il professor Lipparini dell’Ingv, insieme con Roberto Bencini e Aaron Micallef, si è occupato di redigere il documento presentato a novembre a Oslo e lo scorso giugno anche a Ragusa. Lo studio è stato condotto in collaborazione con la University of Malta e l’Università di Roma Tre e ha riguardato la presenza di una falda acquifera nelle viscere della Sicilia. In totale, 17 miliardi di metri cubi di acqua purissima che giace tra i 750 e i 2500 metri di profondità. La Regione non si è mai interessata né all’estrazione né a visionare lo stato degli oltre 250 pozzi esistenti o i dati open source prodotti da Eni già negli anni ‘80. Ma anche in seguito al clamore suscitato nell’opinione pubblica dalla notizia, da noi ripresa anche lo scorso 27 luglio, Lipparini è stato convocato a Palermo per incontrare la cabina di regia al gran completo e discutere della possibile attuazione del progetto.
“Le viscere dei monti iblei, in provincia di Ragusa, non sono l’unico punto dell’Isola al di sotto del quale è presente acqua purissima imprigionata da sei milioni di anni. Abbiamo rintracciato giacimenti offshore nella zona antistante la costa di Marina di Ragusa, Scicli e Pozzallo. Qui i costi di estrazione sono molto più elevati: parliamo di cifre tra i 7 e i 12 milioni di euro per singola trivellazione, dipende dalla profondità che si intende raggiungere”, spiega Lipparini.
La scoperta è stata presentata a Davos, ma lo studio sarà pubblicato a inizio 2025. Per un pozzo nel sottosuolo dei monti iblei, invece, basterebbero circa 2 milioni di euro per singola trivellazione: una cifra esigua in confronto agli stanziamenti a fondo perduto (si pensi al mondo dell’agricoltura, ndr) effettuati dalla Regione nel corso del mese di agosto. Per il geologo resta però uno scetticismo dipendente “da una presa di posizione e da una volontà politica di concentrare gli investimenti sui dissalatori. Proprio Salvini ha firmato (lo scorso 13 settembre, ndr) lo stanziamento di 100 milioni di euro per il ripristino dei dissalatori. Si sarebbero potute fare comunque entrambe le cose e pensare di ricercare acqua presente nel sottosuolo. La prossima estate l’Isola rischia di essere punto e a capo”.
Il vicepremier Salvini ha infatti consentito di procedere all’acquisizione e all’installazione di dissalatori e attuare le misure necessarie per fronteggiare l’emergenza dimezzando i tempi della procedura. Spesa prevista circa 100 milioni di euro finanziati con Fsc regionali, previo accordo Stato/Regioni. Una generale assenza di pianificazione strategica a lungo termine da parte della Regione rischia di compromettere la sostenibilità idrica futura della Sicilia, come già accaduto nel corso dell’estate appena trascorsa. “Abbiamo perso la capacità di pensare a lunga scadenza – spiega Lipparini –. Molti altri paesi investono in progetti a lungo termine, spesso con orizzonti di 20-30 anni. C’è bisogno di un investimento minimo per realizzare uno studio di fattibilità più approfondito”, ha aggiunto ribadendo la disponibilità a collaborare con le istituzioni.
Nonostante lo scarso entusiasmo delle autorità regionali, la ricerca ha attirato l’attenzione del mondo accademico e di molti sindaci siciliani. “Siamo stati contattati anche da diverse regioni del Centro Italia, dalle Marche alla Campania: tutti hanno chiesto l’attuabilità del sistema di ricerca di acque profonde”. In conclusione, la proposta del professor Lipparini di investigare le risorse idriche sotterranee della Sicilia rimane sul tavolo come un’opportunità che, pur richiedendo più tempo e investimenti, potrebbe garantire un futuro idrico sostenibile per la Regione.
Secondo il professor Lipparini, le tecniche e le competenze sviluppate nell’industria petrolifera possono essere applicate anche per individuare e sfruttare le risorse idriche sotterranee. L’idea è semplice: sfruttare le operazioni di esplorazione delle aziende petrolifere e recuperare l’acqua presente nel sottosuolo a bassa profondità. “La trivellazione che conduce a falde acquifere può essere di alcune centinaia di metri – spiega il geologo con un passato nelle compagnie petrolifere –. Le perforazioni per chi cerca petrolio possono invece arrivare anche a chilometri di profondità”.
Se le aziende, nel corso delle loro normali operazioni di perforazione, raccogliessero anche dati idrogeologici, il costo aggiuntivo sarebbe minimo rispetto all’investimento complessivo. “È come fare fermate intermedie durante un lungo viaggio: non costa molto in proporzione all’intero tragitto”. In questo modo, con un solo investimento, si otterrebbero due benefici: da una parte l’estrazione di idrocarburi, dall’altra la possibilità di accedere a risorse idriche, fondamentali in aree come la Sicilia, il Nord Africa e il Medioriente. Le compagnie petrolifere già trattano grandi quantità di acqua associata alla produzione di idrocarburi che potrebbe essere destinata a usi pubblici dopo desalinizzazione, invece di essere reiniettata nei giacimenti e andare sprecata. “Ci sono campi petroliferi che producono migliaia di barili d’acqua dolce al giorno, che poi viene reiniettata nel sottosuolo. Nessuno ha mai pensato di raccoglierla e utilizzarla per l’acquedotto. Magari per finalità industriali”.
Come confermato però da fonti interne alla Regione, a Palermo si starebbe pensando di finanziare proprio le operazioni di trivellazione di un pozzo al di sotto dei monti iblei. “Per quanto mi sento di esprimere dubbi sull’efficacia di interventiche sembrano alimentare più la retorica mediatica che fornire soluzioni concrete”, spiega la nostra fonte al Quotidiano di Sicilia.
“Prima di tutto, bisogna curare la qualità dell’acqua e capire quanto costano realmente queste operazioni”, ha aggiunto. Uno degli aspetti più controversi – secondo i funzionari – riguarda la qualità dell’acqua presente nelle falde sotterranee: vi sono studi che suggeriscono come queste risorse idriche possano avere un alto contenuto salino, “tre volte superiore a quello del mare”.
Altri esperti, invece, “sostengono che si tratti di acque dolci e limpide, pronte per essere utilizzate senza particolari trattamenti. Questa divergenza di opinioni riflette la necessità di ulteriori indagini scientifiche prima di intraprendere qualsiasi intervento di sfruttamento su larga scala. La Regione dovrebbe giocarsi anche questa carta. Ma se nei mesi scorsi se ne è parlato molto, nelle ultime settimane ci si è concentrati solo sui dissalatori”.