Mentre è in corso un braccio di ferro sul ritiro Usa dall’Afghanistan, con i talebani che intimano, “Via entro agosto o reagiremo” e nell’aeroporto di Kabul ci sono ancora tredicimila persone da evacuare, in Italia si parla anche di rischio terrorismo.
Ieri due ore di audizione davanti al Copasir per il direttore dell’Aise, il generale Giovanni Caravelli, convocato per fare il punto sull’emergenza Afghanistan e sui rischi per la sicurezza dell’Italia, tema affrontato in vista della riunione straordinaria del G7 di oggi.
Alla una riunione nel Palazzo Chigi erano presenti, oltre al premier Mario Draghi, i ministri degli Esteri e della Difesa, Luigi Di Maio e Lorenzo Guerini, il sottosegretario con delega alla Sicurezza della Repubblica, Franco Gabrielli, e il direttore generale del Dis, Elisabetta Belloni.
Tra i nodi affrontati dal Copasir, in primo luogo, la corsa contro il tempo per completare, in sicurezza, il piano di evacuazione dei nostri collaboratori e dei loro familiari.
La paura che giungano terroristi
Un’attività che dovrà concludersi entro il 31 agosto, ma sulla quale l’intelligence sta svolgendo una attività di monitoraggio: una sorta di “screening”, in coordinamento con i colleghi statunitensi e britannici, al fine di scongiurare il rischio che tra di profughi che in questi giorni stanno sbarcando a migliaia a Fiumicino, grazie al ponte aereo approntato dalla Difesa, si possano nascondere potenziali terroristi, potenziali minacce per la sicurezza interna.
La nascita dell’Emirato islamico
Sul punto, il numero uno dell’Aise, che in Afghanistan ha lavorato in passato da operativo e quindi conosce bene il territorio e le sue dinamiche, ha esaminato le conseguenze della nascita dell’Emirato islamico anche in riferimento alle attività delle organizzazioni terroristiche che hanno consolidate basi operative in Afghanistan.
Il timore degli 007 è che il Paese possa tornare in breve tempo ad essere un laboratorio dell’estremismo jihadista. Le attività di evacuazione, intanto, proseguono senza sosta. A Roma ieri sono giunti oltre trecento profughi da Kabul, via Kuwait.
Dal giugno scorso sono oltre 3.350 i cittadini tratti in salvo, 2.187 quelli già giunti in Italia (di cui 574 donne e 667 bambini) negli ultimi giorni. Altre 1.300 persone sono in attesa di partire dall’aeroporto di Kabul.
Operazione complessa e delicata
“E’ una operazione molto complessa e delicata”, ha spiegato il ministro della Difesa Guerini, oggi in visita al Covi, il Comando operativo di vertice interforze.
“Un lavoro di squadra grazie alla collaborazione tra i Ministeri della Difesa, Esteri, Interni e i servizi di informazione”.
Nel corso di una telefonata con il Segretario della difesa degli Usa Lloyd Austin, il ministro Guerini ha ringraziato gli americani per la messa in sicurezza dello scalo afghano che “consente alle varie missioni nazionali di attuare il dispositivo di evacuazione pur in un contesto compromesso e instabile”.
662 profughi a Sigonella
Nuovi arrivi anche alla base militare di Sigonella dove il numero dei profughi atterrati è salito a 662.
Il primo gruppo era arrivato su un KC-10 Extender dell’U.S. Air Force dalla base aerea di Al Udeid, Qatar, poi ci sono stati altri due arrivi con altrettanti C-17 Globemaster III.
Anche la Base Aviano (Pordenone) annuncia di essere “pronta a supportare, attraverso le strutture militari statunitensi in Italia, il transito di persone in partenza dall’Afghanistan verso località di reinsediamento”.
La destra Ue contro i profughi
Intanto si apre un fronte anti-profughi afghani nella destra dell’Unione europea.
Il premier ungherese Orban e quello austriaco Kurz – storici alleati di Matteo Salvini e collegati con la Russia di Putin – hanno chiuso ai nuovi arrivi.
Ma il commissario Paolo Gentiloni li ha subito bloccati: “L’Ue deve garantire l’accoglienza anche senza
unanimità”.
Kabul, Emergency, situazione grave
La situazione nella capitale afghana resta, comunque, tesa e complessa.
Una conferma in tal senso arriva dall’ospedale di Emergency.
“Lo staff maschile e femminile che opera nella struttura sta proseguendo nel lavoro” ma una parte dei collaboratori “sta cercando di ottenere il visto per se e la sua famiglia per lasciare l’Afghanistan”, ha annunciato il coordinatore medico a Kabul Albero Zanin che ha anche detto di aver comunque avuto assicurazioni da esponenti di governo dei talebani sul fatto che l’attività ospedaliera non sarà ostacolata.
Intanto, a Kabul, i giovani denunciano: “Siamo stati frustati perché indossavamo i jeans”.
E le donne sono state cacciate dai luoghi di lavoro.