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Afghanistan, l’Italia è già pronta ad accogliere i profughi

Cinquemila profughi giunti con il ponte aereo che si è concluso ieri e un numero indefinito di altri che arriveranno attraverso varie rotte, a cominciare da quella balcanica: per l’Italia è imminente l’attuazione di un piano che, dopo la prima accoglienza, sia in grado di garantire “percorsi di integrazione pieni e duraturi” ai cittadini afghani in fuga dal loro Paese.

Quello al quale pensa il Governo, secondo quanto si è appreso, è di inserire questi immigrati nel cosiddetto Sai, il Sistema di accoglienza e integrazione gestito dal Viminale.

Il problema è che i posti che i Comuni mettono a disposizione del Sai (comprese le strutture alberghiere) non sono attualmente sufficienti e sarà dunque necessario, molto probabilmente, varare un provvedimento urgente – forse un decreto legge – per ampliarli, con conseguente copertura finanziaria.

“Adesso inizia la fase 2”, ha detto il ministro degli Esteri Luigi Di Maio.

“In settimana – ha aggiunto – partirà il Piano italiano per il popolo afghano che ho illustrato nei giorni scorsi in Consiglio dei Ministri, con la prima riunione della cabina di regia interministeriale, così da coordinare le iniziative per l’accoglienza e la formazione di tanti bambini e ragazzi arrivati in Italia”.

Un piano complesso, che coinvolgerà diversi dicasteri, ma la cui regia è affidata al Viminale – responsabile dell’assistenza dei migranti – e alle sue strutture territoriali, le Prefetture, che coordineranno l’iniziativa dei Comuni.

Finora, degli afghani sbarcati in Italia si è occupata prioritariamente la Difesa, insieme al Dipartimento della Protezione civile, alla Croce rossa e alle singole Regioni.

I profughi, dopo le prime procedure burocratiche e sanitarie, sono stati condotti nelle strutture individuate per la quarantena.

Molte quelle mobilitate: dal Centro sportivo olimpico dell’Esercito alla Cecchignola a diverse basi logistiche – a Camigliatello Silano, Roccaraso, Colle Isarco, per citarne alcune – fino al grande hub allestito all’Interporto di Avezzano, capace di ospitare fino a duemila persone.

Diverse altre strutture sono state rese disponibili dalle Regioni. Terminata la quarantena – ma per diverse centinaia di profughi è anche cominciata la campagna vaccinale – la Difesa passerà la palla al Ministero dell’Interno, che si occuperà della redistribuzione degli afghani sul territorio nazionale. Tenendo conto di alcuni fattori importanti, che impongono un approccio diverso rispetto ai migranti che sbarcano, ad esempio, a Lampedusa. E cioè che gli afgani sono soprattutto nuclei familiari, con donne e bambini, che chiaramente non possono essere separati e che per loro si immagina una permanenza di lungo o lunghissimo periodo, e questo richiede procedure di integrazione conseguenti, finalizzate ad un effettivo e duraturo inserimento di questi soggetti nella società italiana.

Da questo punto di vista non viene ritenuta adeguata la rete dei Centri di prima accoglienza, mentre la strada che il Governo intende perseguire è appunto quella del Sai, il Sistema di accoglienza e integrazione, i cui posti disponibili sono però oggi quasi al completo.

L’Anci ha scritto nei giorni scorsi al ministro Lamorgese per offrire la disponibilità dei Comuni (sono oltre 1.800 quelli che aderiscono alla rete Sai) e il Governo nei prossimi giorni dovrà presumibilmente varare un provvedimento per finanziare la messa a disposizione di ulteriori strutture. Le quali sono già state in buona parte individuate: Comuni e Prefetture ne stanno già parlando.

“Ancora una volta i sindaci e i territori confermano di accettare e saper gestire questa ennesima sfida in nome dell’accoglienza, dell’integrazione e della solidarietà. Il nostro obiettivo è quello di dare una nuova casa a chi ha dovuto lasciare la propria, regalando un futuro a ogni sorriso dei bimbi che si avviano alla loro nuova vita”, ha detto il sindaco di Teramo e presidente di Anci Abruzzo, Gianguido D’Alberto, in visita all’hub di Avezzano.